Carcere di Rebibbia: visite parlamentari, cooperative, mafia capitale, perizie e diagnosi alterate
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MAFIA 41-BIS Carcere di Rebibbia: visite parlamentari, cooperative, mafia capitale, perizie e diagnosi alterate 23/08/2019 

Dicono che non ci sia detenuto che non sogni di fuggire via dal carcere. È una fantasia che ammalia tanto l'innocente, quando non è annichilito dall'ingiustizia patita, che il colpevole. Anzi, quest'ultimo, conscio dei propri segreti, indugia con maggiore intensità nei lunghi giorni vuoti dietro alle sbarre. A Rebibbia, accade fin troppo spesso che i sogni diventino realtà, tanto da fargli meritare, accanto ai tanti riconoscimenti per i successi nei progetti di rieducazione, la meno nobile fama di carcere gruviera.

Sette evasi negli ultimi tre anni, confermano un andazzo che almeno dagli anni Ottanta conta precedenti in serie. Il più clamoroso, la fuga con l'elicottero del nero Gianluigi Esposito e del rapinatore André Bellaiché, nel 1986. Sovraffollamento e una sproporzione nel rapporto tra detenuti, oltre 2.300, e agenti penitenziari, meno di 600, sono una costante e l'ovvia giustificazione esibita per spiegare le porte perennemente girevoli di una prigione che, avvicendamenti dopo avvicendamenti, non riesce a riscattarsi dall'idea di essere un posto a custodia intermittente.

Molto lo si deve a un complesso di consuetudini e compiacenze che riflettono un po' la città. Basta scorrere l'indagine su uno dei più celebri reclusi recenti, come l'ex governatore siciliano Totò Cuffaro per rendersi conto di quanto gli fosse facile intrattenersi con la cerchia dei suoi collaboratori più stretti.

Utilizzava il passepartout dell'ingresso di parlamentari in pieno esercizio del mandato ispettivo che però si trascinavano dietro amici e sodali del collega recluso, spacciandoli per propri assistenti nella generale distrazione. O scorrere le intercettazioni di Mafia Capitale per imbattersi nella corte di Massimo Carminati tutta intenta a pronosticare questa o quella interferenza per ottenere scarcerazioni e benefici vari. Il giro è quello di alcune cooperative che per dirla con "il Cecato" consentono non solo un rapporto tra il mondo di sopra e quello di mezzo, ma anche tra quello di dentro e quello di fuori.

E se non sono pressioni, allarmi guasti, corruzioni, favori e vecchie amicalità cementate dal cameratismo, sono perizie aggiustate e diagnosi di comodo. La procura indaga, come ha documentato Repubblica, sullo strano infittirsi di casi di tossicodipendenza che riguarda i maggiorenti del narcotraffico della capitale ospiti di Rebibbia. Lesti a mettersi in fila per farsi certificare la schiavitù da droga e volare in comunità con restrizioni più blande. Un po' quello che ha insegnato il boss Michele Senese con le sue diagnosi di follia. Perché la medicina può anche non essere poi così amara.

La Repubblica

Boss dello spaccio fatti uscire dal carcere: la Procura indaga sul carcere di Rebibbia per le diagnosi facili ai detenuti


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