CSM: relazione per il 1971 sullo stato della giustizia in Italia
Home > STORIA

 

STORIA CSM: relazione per il 1971 sullo stato della giustizia in Italia 19/08/1972 

Nella relazione per il 1971 sullo stato della giustizia in Italia, il Consiglio superiore della magistratura dedica largo spazio a due problemi di interesse rilevante anche per i non specializzati: la tutela giudiziaria dei minori e le esigenze sociali nella giustizia penale.

Il principio primario che il Consiglio indica affrontando la tutela del fanciullo è la necessità d'assicurare, o di creare ex novo intorno a lui, un nucleo familiare: esso solo può dargli la sicurezza che è condizione indispensabile per lo sviluppo adeguato della sua personalità in formazione. Qualora il nucleo familiare non sia mai esistito, o si sia disgregato, occorre dunque che il minore sia inserito in una famiglia adottiva o aggregato ad istituzioni di tipo familiare (gruppi famiglia).

In quest'opera di sostegno devono essere impegnati anche gli organi giudiziari; i quali non debbono prendere la « scorciatoia » più comoda di privare il minore della sua famiglia naturale per ricoverarlo in istituti, bensì la « strada maestra » dell'inserimento del minore di otto anni in una nuova, famiglia, con un nuovo stato di figlio legittimo. L'adozione speciale è vista come un istituto che attua « una vera e propria rivoluzione, perché non è più diretto a garantire interessi di natura sostanzialmente patrimoniale, ma ha lo scopo di dare una stabile famiglia ai minori abbandonati », attribuendo all'adottato lo stato di figlio legittimo dell'adottante e facendo cessare i suoi rapporti con la famiglia d'origine. Il «diritto del sangue » perde in tal modo quel valore assoluto e intangibile che aveva avuto per tanti secoli; la legge tende a creare e conservare un reale equilibrio affettivo e psichico del minore, al di fuori dell'inetta famiglia d'origine, nell'ambito del nucleo familiare adottivo: così « prevale l'interesse- del bambino, e cioè l'unico che veramente conti ».

Purtroppo, nota il Consiglio, l'istituto non trova ancora integrale attuazione: soprattutto perché da un lato gli istituti d'assistenza tendono a limitare la portata dell'obbligo di trasmettere al giudice ogni trimestre l'elenco dei ricoverati o assistiti, e dall'altro le procedure giudiziarie sono di una lunghezza estenuante. Al dicembre 1970 c'erano stati 7053 affidamenti preadottivi e 10.199 dichiarazioni di adottabilità, di fronte a 24.359 domande d'adozione e di fronte a un numero tanto più alto di minori ricoverati in istituti. Questi infatti nel 1967 erano ben 77.200 (da sei anni in giù) e buona parte di essi poteva ritenersi in stato d'abbandono, e quindi adottabile.

E' sintomatica l'annotazione secondo cui nelle regioni meridionali si riscontrano sia le maggiori difficoltà di reperimento dei minori e di collegamento con gli istituti, sia le maggiori difficoltà per il buon funzionamento della nuova legge sull'adozione speciale. C'è poi il- fenomeno, oggi purtroppo frequentissimo, del « disadattamento giovanile »: fenomeno che dovrebbe comportare interventi non tanto rieducativo-autoritari, quanto di carattere curativo, da attuarsi per iniziativa della famiglia con l'ausilio d'appositi organismi sanitari e d'igiene mentale. Qui la carenza dello Stato è gravissima: e ancor più grave è nei casi di « devianza minorile »: quelli cioè da cui nascono procedimenti. penali a carico dei minori. Il Consiglio sottolinea come nel 1968 i minori denunciati per fatti delittuosi siano stati 23.281, e nel corso degli ultimi dicci anni il numero dei minori denunciati sia andato elevandosi con una certa continuità: dal 1958 al 1968 il numero dei minori denunciati è cresciuto di circa 4200 unità in assoluto c di quasi il 22 per cento in termini relativi. Il fenomeno del disadattamento minorile si è andato inoltre spostando verso il Nord per effetto dell'emigrazione; pur tuttavia, la quota più elevata di minori denunciati continua a presentarsi ancora nel Mezzogiorno. I delitti che hanno andamento crescente sono quelli contro il patrimonio e contro l'ordine pubblico; ma colpisce in modo profondo il fatto che bassissima sia la percentuale delle condanne rispetto al numero complessivo delle denunce: nel 1967 i minori condannati furono poco più di quattro ogni cento giudicati. Quanto lavoro a vuoto e quanta inutile pena.

II Consiglio rileva anche la assurda distribuzione attuale delle competenze nel campo minorile fra tribunali per i minori, tribunali ordinari e giudici tutelari. Se l'ordinamento ritiene essenziale assicurare che i provvedimenti sui minori siano assunti da organi speciali, come quel tribunale dei minori che nel corso della sua storia ha dato sostanzialmente ottime prove, del tutto assurdo è sottrarre ad esso, ad esempio, l'affidamento dei figli in caso di separazione personale tra i coniugi (che spetta al tribunale ordinario), la legittimazione del figlio naturale (che spetta alla corte d'appello), il controllo sull'amministrazione dei beni e sullo sviluppo della personalità del minore mancante della normale assistenza dei genitori (che spetta al giudice tutelare). Si pensi inoltre alla diversità di competenze nel caso dell'adozione: se ordinaria spetta al tribunale ordinario, se speciale al tribunale dei minorenni. Si ricordino infine le questioni relative alla patria potestà ed alla tutela: esse sono ripartite tra giudice tutelare, tribunale ordinario civile e tribunale dei minorenni, il quale ultimo provvede alla prevenzione, correzione, rieducazione dei minori disadattati. Giustamente il Consiglio auspica l'unificazione delle competenze in capo al tribunale dei minorenni, anche se essa potrà venire pienamente realizzata solo istituendo il tribunale per la famiglia; e questo dovrebbe nascere sul tronco del tribunale dei minorenni, data la sua specializzazione e la presenza, quanto mai necessaria nel campo familiare, dei giudici non togati.

Nel campo penale il tribunale dei minorenni dovrebbe separare in modo chiaro l'aspetto amministrativo delle sue pronunce da quello più propriamente penale, esigendo per tutti i minori imputati un preciso e adeguato accertamento della personalità del minore, e disciplinandosi in modo moderno e umano l'istituto della custodia preventiva. Le tre competenze del tribunale dei minorenni vanno coordinate in modo unitario; e una denuncia penale può dar luogo a immediati interventi di carattere sia amministrativo che civile (come l'allontanamento del minore dalla casa paterna), scegliendo in ogni caso la misura più idonea, sempre « modellata dal giudice in armonia con i provvedimenti già adottati o da adottare a tutela degli interessi del minore ». Quanto al tribunale per la famiglia, il Consiglio sostiene vigorosamente di costituirlo, con argomenti che sembrano di grande rilievo, anche se forse non tengono conto di una dottrina contemporanea (Stefano Rodotà) che è nettamente contraria, soprattutto sulla base delle esperienze comparate. Noi riteniamo peraltro che il Consiglio sia nel giusto: e le proposte che esso fa circa la competenza del nuovo organo giudiziario ci sembrano sostanzialmente da approvare. Al tribunale per la famiglia verrebbero attribuite tutte le controversie in materia di matrimonio, filiazione, separazione personale, affiliazione, tutela e le altre affini (diremmo anche le cause di divorzio), nonché tutte le dispute patrimoniali relative ai rapporti familiari e i giudizi penali per reati contro la famiglia, che possono portare fra l'altro a una serie di provvedimenti civili c amministrativi nei confronti dei figli.

Il Consiglio ritiene opportuno attribuire al tribunale per la famiglia la competenza non solo per i reati commessi dai minori, ma anche per alcuni reati commessi a loro danno. Il tribunale dovrebbe avere una larga possibilità d'iniziativa e d'indagine d'ufficio, nell'ambito del compito di prevenzione che in questo settore deve sicuramente essere attribuito all'autorità giudiziaria. Peraltro le innovazioni avrebbero un carattere meramente formale qualora non si consentisse a questo tribunale di avvalersi di efficienti uffici di servizio sociale. Si noti fra l'altro che gli « effettivi » di tale servizio di alto interesse collettivo sono del tutto insufficienti. L'organico italiano prevede solo 249 elementi, così come nel cani po del personale educativo prevede 149 unità; alla deficienza di tale ruolo si supplisce utilizzando 646 agenti di custodia, tra cui ben pochi hanno avuto una preparazione specializzata.

La Stampa 19 agosto 1972


Google News Penitenziaria.it SEGUICI ANCHE SU GOOGLE NEWS