Detenuti-lavoratori in sciopero nel carcere di Saluzzo. Il salario (500 lire) è svalutato
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STORIA Detenuti-lavoratori in sciopero nel carcere di Saluzzo. Il salario (500 lire) è svalutato 05/05/1973 

Sono 300 e si astengono (ad oltranza) da ogni attività (officina, scuola, cucina, pulizie) Lo Stato percepisce giornalmente per ogni carcerato 2000 lire dalle ditte appaltatoci: 500 (al massimo 960) vanno ai detenuti - L'agitazione capeggiata da Notarnicola?

I detenuti del penitenziario di Saluzzo sono in sciopero: non frequentano i corsi di scuola, non cucinano e non fanno le pulizie generali, si astengono da ogni lavoro. Motivo ufficiale della protesta «la scarsa retribuzione giornaliera — dice il direttore del carcere, dottor Giuseppe Ortoleva; — le 500 lire che percepiscono, in media, non sono adeguate al caro-vita, dopo la svalutazione indiretta della lira». I detenuti spendono le 500 lire nel «sopravvitto», cioè acquistando al negozio-spaccio generi alimentari, di prima necessità o voluttuari. I prezzi delle merci esposte sono ancorati al costo di mercato: non vi sono sconti, semmai rincari per alcuni generi I che l'appaltatore del servizio (l'impresa Scocchi, che gestisce anche un caffè del centro) non può comprare all'ingrosso.

La protesta dura da tre giorni, tuttavia la disciplina nel carcere è normale. «Non sono stati presi provvedimenti prudenziali — dice Ortoleva — né ho chiesto rinforzi; i colloqui dei carcerati con i parenti sono giornalieri. Nel penitenziario non sono mai successi incidenti; quando alle Nuove di Torino accaddero i disordini, parecchi detenuti vennero trasferiti qui e si ambientarono molto bene». Due giorni or sono, però, una delegazione di carcerati chiese di essere ricevuta da Ortoleva. Fu accontentata. Presentò un documento con alcune richieste e spiegò che da quel momento incominciava l'astensione da ogni tipo di attività. Il direttore informava il Ministero di Grazia e Giustizia e l'ispettore generale regionale, dottor Bono, ha annunciato una sua imminente visita per studiare la situazione.

Ieri a Torino si sono riuniti i direttori dei principali penitenziari per uno scambio di vedute, ma l'ispettore Bono era impegnato a Milano e non ha potuto partecipare alla seduta: nessuna decisione dunque, tranne la presa di coscienza che il problema di aumentare la retta giornaliera per i lavoratori-detenuti (7 ore al giorno di «officina», ma con pause riservate ai colloqui) non riguarda l'organizzazione interna delle carceri, ma il Ministero di Grazia e Giustizia o il Parlamento.

Una nuova legge

La retta, infatti, è stabilita per legge e soltanto nuove norme potrebbero modificarla. In realtà, lo stato percepisce per ogni 500 lire che elargisce 2000 lire dalle ditte che appaltano il lavoro in carcere; se lo sciopero indetto a Saluzzo dovesse estendersi agli altri penitenziari d'Italia (sono 100 e 120 le carceri giudiziarie) lo Stato verrebbe a perdere miliardi. «L'urgenza di risolvere la situazione — dice Ortoleva — è quindi evidente al di là degli episodi che mi riguardano da vicino». Siciliano, trentottenne, da 22 anni nell'Amministrazione statale, da 10 a capo del penitenziario saluzzese, Giuseppe Ortoleva è giunto all'apice della carriera e attende la promozione a ispettore generale. Tra i detenuti sotto sua tutela vi sono parecchi ergastolani e condannati a 20-30 anni. Ultimi arrivati, in ordine di tempo, Sante Notarnicola, dell'ex banda Cavallero, e Ferruccio Malagoli del «Gruppo 22 Ottobre» (25 anni alle Assise di Genova).

Sono loro gli organizzatori dello sciopero? «Lo escludo — dice Ortoleva — nella delegazione che ho ricevuto non erano presenti; ed escludo anche qualsiasi colorazione politica della protesta». Saremmo di fronte quindi al primo caso di sciopero nei penitenziari provocato dal caro-vita e dalla svalutazione monetaria. Il carcere di Saluzzo è ritenuto un esempio di come si deve agire per reinserire nella società chi ha violato la legge. Oltre alla fabbricazione di penne a sfera, di cancelleria varia e di apparecchiature elettriche (per le ditte Mondial Lux, di Saronno, e S.p.A. Croci Farinelli - Fulgor, di Milano), vi si svolgono corsi professionali per saldatori ossiacetilenici e di scuola media; funziona un servizio sociale con cinque persone capeggiate dalla dottoressa Passerone; ci sono a disposizione campo di football, televisione e possibilità di colloqui giornalieri; l'amministrazione (per le paghe e per i denari che i detenuti ricevono dall'esterno) ha dodici dipendenti.

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, il cronista deve anche raccogliere la voce, attraverso parenti e amici, di chi vive in cella e ha deciso lo sciopero. La protesta non sarebbe provocata soltanto dall'esigua paga (per un centinaio di detenuti, considerati lavoratori di «prima», sarebbe di 960 lire e non di 500, grazie all'intervento delle ditte con un extra e ad una classifica disciplinare), ma dalla necessità di riformare i codici e di migliorare la situazione interna. La protesta avrebbe trovato in Notarnicola «un giovane esperto, capace di farsi ascoltare».

Vitto scadente?

Le lamentele riguardano, sempre secondo quanto è trapelato fuori delle mura, la sala-colloqui (troppo angusta e inospitale), la pulizia in genere, le docce e soprattutto il vitto. I detenuti hanno diritto a una colazione a base di latte, un pranzo con primo, secondo e frutta; una cena con una minestra e un secondo. Possono comperare allo spaccio mezzo litro di vino. Il cibo sarebbe scadente: non per qualità e quantità, ma perché mal preparato in quanto le cucine sono affidate a detenuti privi di un cuoco che possa guidarli. L'aumento dei prezzi sui mercati avrebbe acuito la disparità tra i detenuti. Chi riceve denaro da casa può mangiare capretto, coniglio, vitello tutti i giorni (esiste una piccola cucina dove i detenuti possono preparare le loro pietanze personali) al cospetto di altri costretti a limitarsi ai pasti dell'amministrazione statale.

La situazione non sarebbe poi tranquilla così come appare. Le guardie carcerarie che non hanno famiglia a Saluzzo sembra siano state consegnate e i permessi aboliti. «Noi — avrebbe detto Notarnicola — siamo disposti a proseguire lo sciopero a oltranza; non è un'azione rivoluzionaria, sarebbe però sufficiente una mossa sbagliata dall'una o dall'altra parte per far succedere incidenti».

La Stampa 5 maggio 1973


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