Era Mafia Capitale: Buzzi e Carminati condannati per associazione mafiosa nel processo d'appello
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SENTENZE E PROCESSI Era Mafia Capitale: Buzzi e Carminati condannati per associazione mafiosa nel processo d'appello 11/09/2018 

E' mafia. Massimo Carminati e Salvatore Buzzi sono stati al vertice di un’organizzazione di tipo mafioso che ha costruito una fortuna economica sulla corruzione e la violenza.

Alla lettura della sentenza della Corte d'Appello il ‘cecato’ veste una camicia nera e rimane impietrito, inchiodato alle sue responsabilità. Con lui il suo sodale Buzzi in videoconferenza dal carcere di Tolmezzo.

La Corte d’Appello condanna a 14 anni e sei mesi il re nero e a 18 anni e quattro mesi il ras delle cooperative. Ribalta l’impianto della sentenza di primo grado, ma stabilisce pene più ridotte.

È mafia perché Carminati è un boss, così lo chiamano i criminali nelle intercettazioni. Gli obbediscono perché riconoscono il suo potere criminale. È la forza di intimidazione che crea assoggettamento. Quella per cui tutte le vittime non denunciano e chiamate a testimoniare balbettano. Non serve il controllo del territorio, i rapporti si regolano con la riserva di violenza. A spiegarlo del resto è proprio il re nero. Sostiene intercettato che in cambio di protezione «faranno a mezzi» negli affari e Buzzi ne è compiaciuto perché Carminati non ha neanche bisogno di picchiare. Un metodo mafioso silente e per questo più insidioso, che non ha bisogno di ricorrere a forme eclatanti per intimidire. È fondato sul rispetto. «Non rispetti gli accordi? Ma tu lo sai chi sono io? Ti ricordi da dove vengo?» sottolineava Carminati. È mafia che s’è infiltrata e radicata anche senza bombe e incaprettamenti, perché non servono i morti ammazzati. Meglio corrompere, aggredire e condizionare l’amministrazione della Capitale d’Italia. Mescolarsi con il mondo altro, perché «esiste un mondo di mezzo in cui tutti si incontrano… anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse a che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno», chiariva il boss.

Mafia Capitale non è stato un esercizio di stile di inquirenti incapaci di capire, non essendo romani, che si trattava solo di ‘criminalità de noantri’. Il metodo investigativo utilizzato dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, dopo aver contrastato Cosa nostra e ’ndrangheta, e dai carabinieri del Ros ha consentito di attribuire il reato di mafia alla malavita romana. Di dimostrare il suo ruolo e la sua capacità di divorare la cosa pubblica.

E’ mafia nonostante in primo grado il re nero Carminati e l’ex ras delle cooperative Buzzi siano stati condannati come se fossero a capo di due distinte organizzazioni, una che corrompe e l’altra che fa estorsioni.

La III Corte d'Appello presieduta da Claudio Tortora, la stessa che nel 2016 fece cadere l'aggravante della modalità mafiosa nei confronti del clan Fasciani di Ostia poi annullata dalla Cassazione, questa volta ha riconosciuto che si tratta di mafia. La condanna è netta e a nulla sono valse le dichiarazioni di Giosuè Naso, legale di Carminati e ora anche dei Casamonica. Per lui era solo «un processetto, mediaticamente costruito in una certa maniera per condizionarvi, anche con le inchieste del giornalista Lirio Abbate, che io ribattezzato Delirio Abbate».

Roma finalmente ammette quello che ha sempre negato. A Roma dove Carminati e Buzzi, i Fasciani, gli Spada, i Casamonica sono conosciuti da tutti per il loro spessore criminale eppure negli anni sono riusciti a intessere rapporti con esponenti significativi della politica e della pubblica amministrazione, a fare affari indisturbati. Roma, una città che per troppo tempo ha scelto di non sentirsi in colpa perché corrompere è più digeribile.

Ora non è più tempo di esultare, come era accaduto in primo grado, perché la mafia a Roma c’è.

espresso.repubblica.it


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