Ferrante Aporti di Torino: il carcere degli scandali
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STORIA Ferrante Aporti di Torino: il carcere degli scandali 29/08/1973 

Duecento ragazzi, dai 14 ai 18 anni, vivono nel vecchio edificio (la cascina "Generala" costruita nel 1700) in locali malsani, pieni di muffa - Quando piove i dormitori e gli unici sono percorsi da rigagnoli - Sono assieme il bambino discolo e il giovane che freddamente ha ucciso il rivale con una coltellata al fegato Violenze, soprusi, scherzi crudeli si ripetono come un gioco, anzi uno svago quotidiano - Le guardie spesso sono costrette a stare a guardare - Le inchieste si ammucchiano e vengono dimenticate, dopo che partiti e giornali hanno sfruttato un aspetto per interessi particolari Lo dimostra la recente storia di un padre che ha denunciato le sevizie subite dal figlio.

Sono diventate tre le inchieste ministeriali sulla vicenda dei cinque ragazzi di Tortona, arrestati e incarcerati per aver rubato un melone. All'inchiesta disposta nei giorni scorsi dal ministero dell'Interno si sono aggiunte infatti due iniziative del ministro della Giustizia on. Zagari: l'una per far luce sulle varie fasi, della procedura adottata dai magistrati inquirenti, l'altra sulla situazione del carcere minorile. «Ferrante Aporti», in seguito alle notizie delle violenze che i cinque ragazzi avrebbero subito da parte di altri giovani detenuti.

Inchieste

Ferrante Aporti, il carcere minorile delle contraddizioni. Oggi è sulla bocca di tutti. I cinque ragazzi di Tortona, arrestati per il furto di un melone e « dimenticati » in due celle, hanno sollevato per l'ennesima volta il velo sul vecchio, cadente istituto di correzione, spesso al centro di polemiche infuocate, di inchieste ministeriali e giudiziarie, di scandali, di voci non sempre controllate e proprio per questo ancor più denigratorie. La storia delle carceri italiane (in particolare torinesi) è storia amara, ricca di episodi a dir poco sconcertanti. Ma quella del Ferrante Aporti è drammatica, assurda, inconcepibile nel 1973. Sul tavolo del sostituto procuratore della Repubblica per i minorenni, dott. Ponzo (il magistrato che l'altro ieri, dopo nove giorni di detenzione, ha concesso la libertà provvisoria ai cinque ragazzi di Tortona) c'è un foglietto con una frase battuta a macchina: « Mi basta sapere che siete giovani perché io vi ami assai. Don Bosco ». Ma chi ama gli ospiti del Ferrante Aporti? Chi fa qualcosa per loro? Chi si preoccupa del loro avvenire, già così difficile per un giovane « normale », addirittura pauroso per un ragazzo di 15, 16 o 17 anni, irretito nel mondo della delinquenza, abbrutito dai vizi, marchiato da una condanna che la società non dimentica? Il carcere per i minorenni, l'istituto di osservazione quello di rieducazione (che comunemente, ma non esattamente, vanno sotto il nome generico di Ferrante Aporti) hanno sede nella vecchia cascina della « Generala », un ex convento di corso Unione Sovietica. Da qualche anno gli uffici del tribunale e della procura della Repubblica sono stati trasferiti nella nuova sede di via Passo Buole, a un isolato di distanza, in direzione di Stupinigi.

Un mondo

L'edificio del Ferrante Aporti, costruito nel 700, è fatto di spesse mura di pietra e calce. Quando piove, l'acqua cola a rigagnoli negli uffici, nei dormitori umidi e ricoperti di muffa, perfino nelle sale d'attesa. Molti locali sono inabitabili; tempo fa è stato ordinato lo sgombero dell'ultimo piano dove era sistemato l'istituto di osservazione. Dice un dirigente: ^Drammatiche le condizioni di vita all'interno del carcere. La giornata ha un orario minuzioso: sveglia, pulizia personale, colazione, scuola. pranzo, ricreazione, laboratorio, televisione, cena, silenzio. Nel momento in cui si abituano al ritmo di vita dell'istituto, i ragazzi perdono ogni fiducia nelle persone e nelle promesse. Clausura, monotonia, indifferenza. Vegetano in attesa del giudizio o della "dimissione" ». Attualmente son ospiti del Ferrante Aporti poco più di 200 ragazzi, dai 14 ai 18 anni. C'è il bambino discolo, disadattato, che medici, psichiatri . e assistenti sociali tengono in osservazione e studiano; e c'è il piccolo delinquente, . che ha rubato, ferito, ucciso. Il 2 ottobre prossimo sarà celebrato in tribunale il processo a un diciassettenne che ha colpito a morte, con una coltellata al fegato, un compagno di giochi. Avevano litigato, lui si era allontanato ed era entrato in un negozio di coltelli. « Ne vorrei uno» disse. La titolare si stupì, gli chiese a che cosa doveva , servirgli: «Mia madre, nel rovesciare le briciole della tovaglia dal balcone, ne ha perso uno ». Una giustificazione apparentemente logica, che troncò ogni sospetto alla proprietaria del negozio. Armato di coltello tornò dall'amico, lo aggredì, l'uccise. Il presidente Vercellone si troverà di fronte questo ragazzo, dovrà giudicarlo, ma soprattutto capirlo. Una impresa che, a pensarci, fa venire i brividi. Dice il presidente del tribunale per i minorenni: « Quello del Ferrante Aporti è un mondo difficile. Finora non si sono verificati ammutinamenti, non sappiamo neppure noi perché. Se avvenissero non ci sorprenderebbe. Relativamente poche le evasioni e le fughe. Facciamo l'impossibile per accelerare l'iter burocratico e le istruttorie, il lavoro è enorme, il personale ridottissimo. Solo il 6-7 per cento dei ragazzi in custodia preventiva 'viene condannato. Gli altri sono assolti o gli viene concesso il perdonò giudiziale, o l'immaturità. Perchè 'meravigliarci, in queste condizioni, della loro irrequietezza o insofferenza?».

Sevizie

Il carcere dovrebbe, secondo il vigente regolamento, rieducare e far maturare i ragazzi. La rieducazione dovrebbe essere indirizzata a conseguire «l'armonico sviluppo » si legge nell'articolo del regolamento del 1939 « della personalità fisica, psichica e morale del minorenne ed a suscitare in lui quel senso della responsabilità dei suoi atti e quello dei doveri verso la società ». Mezzi rieducativi dovrebbero essere la scuola, il lavoro, l'istruzione religiosa. Ma il risultato è sconfortante: su 100 ragazzi che escono dal Ferrante Aporti, 25 Vi rientrano, prima o poi, altri .finiscono alle «'Nuove» perché maggiorenni. In questa situazione maturano gli episodi di violenza, i soprusi, gli scherzi crudeli, le rivalità, i contrasti con gli agenti di custodia che « sono stanchi, fisicamente e moralmente », dice un funzionario. La loro tensione si ripercuote sui ragazzi, in una 'spirale senza fine. Un anno fa un ragazzo, arrestato per una rissa, fu vittima di sevizie. Appena uscito raccontò tutto al padre, che corse, disperato e col cuore che ribolliva dall'ira, da un legale per presentare denuncia. Fu ordinata un'inchiesta, che forse oggi dorme in qualche cassetto della procura. Non fu l'unica. Ce ne sono state tante altre: per una morte misteriosa, pare un suicidio, per un commercio di droga, per un furto di s indumenti, per un'evasione in massa. La contrastata vita del Ferrante Aporti, ad ogni scandalo, ne esce ancor più umiliata. Le critiche non si contano più: e sulle critiche si innesta la propaganda, la strumentalizzazione di un gruppo politico, l'attacco del giornale di parte, che spesso dimentica l'obiettività d'informazione per il gustò del sensazionale. Le guardie si difendono come possono, i direttori saltano, i magistrati chinano il capo e allargano le braccia, il ministero invia ispettori che stendono il loro rapporto. E tutto finisce lì. Da tanto, troppo tempo.

Chi esce

Chi ne fa le spese, sono loro, i ragazzi. Chiusi inedie cadenti e scrostate, ma anche liberi di uscire, qualche volta, quando il reato per cui devono essere giudicati non è particolarmente grave. E' un pietoso « favore » che viene loro concesso, come piccolo premio. Vanno fino al bar vicino a prendere un caffè, comprare le sigarette, giocare al flipper. Gustano il sapore della libertà, vedono la gente che va e viene, salutano gli amici, un parente. Nessuno ha mai approfittato di quel quarto d'ora eccezionale, tutti tornano a varcare il cancello in ferro, a percorrere il lungo corridoio silenzioso fino alla cella. Ricordo, anni fa, il processo a quel ragazzo astigiano che uccise sul treno una giovane e bella professoressa, sconvolto da un raptus. Suonava il violoncello e se lo era portato al Ferrante Aporti, li mattino dell'udienza, raggiunse, solo (a distanza c'erano due agenti) il tribunale di via Passo Buole. Teneva sotto il braccio una cartella di disegni. Fu condannato, la pena confermata in appello. Poi morì di polmonite, in carcere. Un volto triste, gli occhi persi in fantasie lontane. Come lui ce ne sono altri. Ma questo recupero diventa, giorno per giorno, più difficile, perché tutto, o quasi, al Ferrante Aporti sembra congiurare contro la riabilitazione del carcerato. Ne è un piccolo esempio l'episodio dei cinque ragazzi di Tortona, per i quali la marachella dei meloni è diventata al Ferrante Aporti un trauma psichico e morale.

La Stampa 29 agosto 1973
 


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