Genova: in rivolta il carcere di Marassi
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STORIA Genova: in rivolta il carcere di Marassi 26/02/1974 

Parte dei detenuti (250) padroni di due "bracci rivolta di Marassi Ore 11: i detenuti sono rientrati in cella - Le trattative condotte da Mario Rossi, capo del gruppo "22 ottobre' Genova, 26 febbraio.

Nel carcere di Marassi è tornata la calma. Dopo lunghe trattative col procuratore della Repubblica Orisolia e col sostituto procuratore Virdis, i 250 rivoltosi hanno accettato di rientrare nelle celle: i magistrati hanno assicurato loro che non vi saranno.trasferimenti di massa né punizioni. Alle 11 la situazione si avviava a tornare normale. Gli stessi carcerati collaboravano con gli agenti di custodia a cancellare le tracce della sommossa.

Nei due « bracci » dell'istituto di pena in cui è scoppiata la ribellione, i fabbri sono al lavoro per riparare le serrature delle celle forzate ieri sera. I danni sono ingenti, ma meno gravi di quanto era apparso in un primo tempo. La prima sezione del carcere, tuttavia, è in buona parte inutilizzabile. Sul piazzale antistante le « case rosse » stazionano ancora, per misura precauzionale, circa mille agenti e carabinieri, molti dei quali giunti da Milano e Padova. Sui tetti del primo e del secondo « braccio » bottiglie, coperte, pezzi di carta e di suppellettili, testimoniano la lunga veglia.

I rivoltosi di cui si sono fatti portavoce nelle trattative con i magistrati Mario Rossi, capo della «22 Ottobre », uccisore del fattorino Floris, Diego Vandelli, cervello del rapimento Gadolla, Giuseppe Battaglia, basista della rapina all'Iacp, ed un quarto carcerato — hanno avanzato molte rivendicazioni: alcune riguardano un miglioramento della vita detentiva (prolungamento della passeggiata e anticipazione dell'ora in cui è concesso vedere la televisione), altre la riforma dei codici e dei regolamenti carcerari. Le richieste del primo tipo sono state accolte.

Si è cosi concluso il lungo braccio di ferro che aveva opposto per tutta la serata di ieri e la notte le autorità e i detenuti. Più volte la situazione è stata sul punto di precipitare. C'è stata molta tensione, questa mattina all'alba, quando si è saputo che tutti i 500 prigionieri genovesi avevano rifiutato la colazione e si è temuto che la ribellione dilagasse. Poco dopo alcuni rivoltosi hanno occupato la farmacia e hanno manifestato l'intenzione di entrare nel reparto femminile. Per un attimo è sembrato inevitabile il ricorso alla forza, poi la situazione è migliorata. Le prime avvisaglie della rivolta si sono avute ieri, nell'aula in cui si celebra il processo alla banda « 22 Ottobre ». Mario Róssi e altri dieci imputati hanno chiesto ed ottenuto di lasciare il loro posto in segno di protesta per l'uccisione di un detenuto nel, carcere fiorentino delle Murate.

Per. tutta la giornata, soprattutto dopo - il., ritorno dei « tupamarós » a Marassi, gli animi sono stati piuttosto tesi. Verso le 18, improvvisamente, 230 detenuti iniziano ad agitarsi. Secondo una prima ricostruzione, quaranta uomini del secondo braccio rifiutano di entrare in cella dopo la passeggiata. Cogliendo di sorpresa i sorveglianti, aprono le altre celle del reparto, poi entrano nel primo braccio. Altri carcerati si aggiungono ai protestanti, qualcuno rompe il vetro di uno dei finestroni. E' il segnale della rivolta. Ovunque si sfondano porte, si distruggono celle, si fracassano vetri. Tutti urlano: «Riforma! Riforma!».

Alle 20,30 i secondini si ritirano, lasciando i prigionieri padroni del campo. Marassi viene circondata da polizia e carabinieri, circa duecento uomini in assetto di guerra. Corre voce che agenti e militari abbiano ricevuto ordine di sparare a vista. La tensione è al culmine. Arrivano il sostituto procuratore della Repubblica Virdis, il questore Antonio Sciaraffia, l'avvocato generale dello Stato, Nicola D'Arienzo. Riuniti nell'ufficio del direttore della casa di pena, magistrati, funzionari di p.s. e ufficiali dei carabinieri si consultano sul modo migliore per riportare la situazione alla normalità. Si decide di non intervenire, almeno per il momento. Virdis propone ai carcerati di mandare una delegazione di loro compagni a parlamentare con lui. I detenuti rifiutano e chiedono che sia il magistrato ad andare in mezzo a loro. Le trattative si interrompono,

Dirà più tardi il sostituto procuratore: «Se avessi aderito alle loro richieste sarebbe stata una capitolazione della legge davanti alla sommossa». A mezzanotte e un quarto il grosso delle forze dell'ordine si ritira: rimangono cinquanta uomini davanti al portone. Intanto, gli attivisti dei gruppuscoli. di sinistra apprendono dalle prime edizioni dei giornali la notizia della rivolta.

La Stampa 26 febbraio 1974


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