I detenuti ribelli di Marassi trasferiti si gettano per terra sulla strada ed urlano
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STORIA I detenuti ribelli di Marassi trasferiti si gettano per terra sulla strada ed urlano 16/04/1969 

La rivolta dei detenuti di Marassi è stata domata a mezzogiorno, dopo che nel carcere erano entrati agenti di polizia e carabinieri, un totale di duecento uomini. Ma non v'è stato bisogno di ricorrere alla forza: i cento e più detenuti arroccati sul tetto del laboratorio dalle dieci di ieri mattina si sono arresi quando il questore di Genova, dottor Giuseppe Ribizzi, intrecciando un dialogo con loro dal camminamento del muro di cinta, è riuscito ad indurli alla ragione. «Se volete evitare il peggio — ha avvertito il funzionario con un megafono — scendete giù due alla volta».

Non siamo in condizioni di poterlo fare — è stata la risposta di un detenuto — perché qui è tutto pericolante ». Il questore, che aveva a fianco il colonnello Giuseppe Vallosio, comandante della Legione dei carabinieri, ha rapidamente risolto il problema facendo calare nel cortile due scale che agenti di custodia hanno quindi appoggiato al muro del fabbricato.

A due a due, i rivoltosi hanno abbandonato il tetto, consegnandosi quindi alla forza pubblica che nel frattempo aveva invaso il cortile. Perquisiti e ammanettati, i detenuti sono stati fatti salire a gruppi di cinque sui « cellulari » e portati nelle guardine della questura, da dove sono stati successivamente trasferiti in altre carceri.

La ribellione a Marassi è cominciata, come si sa, domenica pomeriggio, quando trentasette reclusi si sono rifiutati di rientrare in cella dopo la consueta ora di « aria ». A questa prima manifestazione (conclusasi nella stessa serata) è seguita quella di ieri, più allarmante, cui hanno però aderito solo una parte di detenuti: un centinaio su 474. Non tutti i rivoltosi, comunque, erano d'accordo con gli organizzatori della sommossa.

Dopo aver devastato il laboratorio « Ticino » (dove vengono montati interruttori e isolatori) gli ammutinati si sono arrampicati sul tetto alle 10 di ieri mattina e vi hanno passato tutta la notte. Stamane, con le prime luci del giorno, hanno ripreso a battere ritmicamente una lamiera con le tegole divelte dal tetto. Alle otto, rapida incursione d'una squadra di agenti della « Mobile » nel cortile del laboratorio dove alcuni detenuti circolavano liberamente: ne sono stati catturati sette.

Alle 10,30 il procuratore generale della Repubblica dottor Carmelo Spagnuolo è salito sul camminamento del muro di cinta e ha parlato con i detenuti. Il colloquio è durato non più di cinque minuti e alla fine il magistrato si è allontanato con le braccia allargate, come a significare l'impossibilità di un accordo. A questo punto i rivoltosi hanno ripreso le loro urla protestatarie: « Sono due giorni che non mangiamo », « Ci hanno negato il pane ». « Pane e riforme ». Uno di loro, sui 25 anni, ha gridato: « Vogliono il nostro sangue? Eccolo! ». Con un frammento di bottiglia il giovane si è platealmente tagliuzzato il braccio sinistro all'altezza del gomito, poi ha alzato il braccio stesso per mostrarlo alla folla assiepata sotto il muro di cinta.

Alle 11,30, il procuratore generale ha dato l'ordine di sgombero: mentre agenti di polizia e carabinieri entravano nel carcere, i pompieri accostavano un'autoscala al muro di cinta e preparavano gli idranti che dovevano servire a vincere la resistenza dei detenuti appollaiati sul tetto del laboratorio. Ma i rivoltosi avevano esaurito, evidentemente, le loro forze sicché l'ordine di smobilitare rivolto dal questore li ha trovati tutti consenzienti.

Nel pomeriggio hanno avuto inizio le operazioni di trasferimento ad altre case di pena dei « contestatori ». Essi verranno portati a Savona, Imperia, Ferrara, Piacenza, Pisa, Lucca e Forlì. Il trasporto avviene per treno, con appositi vagoni cellulari, partendo dalla stazione Brignole. Qui, alla partenza dei primi 34 detenuti, ammanettati e incatenati a quattro a quattro, due gruppetti hanno dato in escandescenze, gettandosi a terra e urlando per attirare l'attenzione delle centinaia di persone che si trovavano in quel momento nell'atrio della stazione. Poiché i detenuti si rifiutavano di proseguire, i carabinieri li hanno sollevati di peso, portandoli così al treno senza altri incidenti.

La Stampa, 16 aprile 1968


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