I direttori delle carceri contestano il ministro Gava. Ritengono insufficienti i provvedimenti annunciati
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STORIA I direttori delle carceri contestano il ministro Gava. Ritengono insufficienti i provvedimenti annunciati 19/06/1969 

Denunciata la «vergognosa condizione» in cui si trovano i detenuti. I direttori delle carceri hanno deciso di contestare il ministro della Giustizia. Se il sen. Gava non interverrà al loro congresso che, iniziatosi oggi, dovrebbe concludersi sabato, i funzionari direttivi dell'amministrazione penitenziaria prolungheranno « sine die » i loro lavori.

Prima di cominciare la discussione, l'assemblea ha inviato al ministro un telegramma, per protestare contro la sua assenza, per rinnovargli l'invito a partecipare al convegno e ad esprimere il proprio pensiero e quello del governo sulla « allarmante crisi degli istituti penitenziari ».

II tema centrale del congresso è la necessità di arrivare ad una modernizzazione e ad una maggiore efficienza del sistema penitenziario. Sin dalla prima giornata dei lavori, i direttori delle carceri hanno espresso chiaramente la propria opinione: non sarà possibile attuare alcuna riforma concreta nel settore, se l'amministrazione degli istituti penitenziari rimarrà affidata al vertice ai magistrati.

La polemica maggiore ha avuto come obiettivo la riforma dell'ordinamento penitenziario che, per una singolare coincidenza, la Commissione Giustizia del Senato ha cominciato ad esaminare questa mattina. « Non è riforma — ha osservato il dott. Marolda nella sua relazione introduttiva del congresso — un'opera predisposta da persone che non credono nell'azione penitenziaria dì recupero del condannato alla società ».

L'ispettore generale Marcello Buonamano, presidente dell'Associazione funzionari direttivi, ha ricordato come, in più di un'occasione, sia stato fatto presente al ministro della Giustizia quali sono gli «aspetti più attuali e più rilevanti della crisi ». «Per quanto riguarda la situazione nelle carceri — ha osservato il dott. Buonamano —, facemmo notare che:

1) le condizioni di vita dei detenuti sono rimaste arretrate rispetto al progresso civile;

2) tali condizioni di vita sono addirittura disumane in molte grandi carceri giudiziarie a causa del loro superaffollamento;

3) i detenuti, per mancanza di agenti, rimangono chiusi in cella dalle 16 sino al mattino seguente;

4) non esistono, salvo qualche eccezione, servizi criminologici penitenziari ».

«Abbiamo detto al ministro — ha concluso — che la situazione negli istituti penitenziari ha superato "il limite di guardia". E le manifestazioni di violenza protestataria avvenute hanno provato la validità delle nostre previsioni».

Da queste premesse, il dottor Buonamano ha tratto la conclusione che «la causa prima dello stato di arretratezza e spesso delle disumane condizioni della vita detentiva» sia da attribuirsi soprattutto alla struttura e al funzionamento dell'amministrazione centrale che, per legge, è affidata ai magistrati.

La Stampa 19 giugno 1969


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