Il futuro della Polizia Penitenziaria e delle carceri: Capo DAP Basentini e Garante detenuti Palma ne discutono su La Repubblica
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NOTIZIE Il futuro della Polizia Penitenziaria e delle carceri: Capo DAP Basentini e Garante detenuti Palma ne discutono su La Repubblica 20/02/2019 

Provvedimenti recenti, difetti, limiti e ipotesi risolutive del sistema carcerario: il Garante nazionale per i detenuti,Mauro Palma e il capo del DAP, Francesco Basentini, in un botta e risposta sulla gestione dei cittadini detenuti. Dopo aver incontrato Mauro Palma, è stato necessario conoscere il Capo Dap eletto nel giugno scorso. Francesco Basentini, ex PM di Potenza, che ci accoglie nel suo ufficio dietro Via di Bravetta, dove si inizia subito a ragionare sulle 27 pagine che riportano le Linee Programmatiche scritte per delineare le questioni da affrontare e risolvere nell’Amministrare delle carceri italiane. Gli riportiamo le parole di Mauro Palma: “Il DAP - dice il Garante dei detenuti - non ha ancora una linea chiara d’azione, pur apprezzandone la buona volontà, a mio avviso - sostiene Palma - sono acerbe”.

 

VIDEOCONFERENZE E TRADUZIONI

Replica il DAP: è alto il costo per gli spostamenti dei carcerati. “Ho scritto le Linee Programmatiche - esordisce Basentini - per chiarire le priorità delle carceri italiane. Per entrare subito nello specifico, il tema delle traduzioni dei detenuti va affrontato principalmente sul piano economico: la Polizia Penitenziaria fa 185.000 traduzioni, che riguardano circa mezzo milione di detenuti. Questo costa al Paese circa 120-130 milioni di euro, anche perché un processo penale si svolge mediamente in 8-10 udienze. Visti i dati, mi chiedo se sia davvero necessario trasportare da carcere a Tribunale e ritorno tutti i detenuti per tutte le udienze processuali. La proposta è: portare in aula il detenuto ‘per motivi di giustizia’, cioè solo quando l’imputato deve necessariamente presenziare a un processo. In Italia, il sistema processuale penale impone che quando l’imputato è tale per reati di mafia o terrorismo, partecipi in udienza in videoconferenza. Ma se un imputato ha commesso una pena minore, ha diritto a presentarsi in udienza. Credo che o si riconosce all’imputato di reati gravissimi il diritto di presenziare in udienza, oppure è più agevole che l’imputato di reati minori possa non essere in aula al suo processo. Ne faccio un discorso meramente pratico”.

Replica Palma: "Nel processo il detenuto deve poter parlare col suo avvocato". “L’oralità è un elemento essenziale nel percorso detentivo. Il detenuto, quando non partecipa in aula, non ha alcun rapporto concreto con il suo avvocato o col magistrato che deve giudicare i fatti commessi: si tratta di questioni delicatissime. La video chiamata è una necessità, che si realizza con detenuti molto particolari, mafiosi o terroristi, e solo a questi casi dev’essere limitata. Estenderla a tutti sarebbe un terribile errore. In particolare, nelle Linee Programmatiche di Basentini, la pratica delle video chiamate viene estesa all’udienza di convalida. Secondo me, proprio l’udienza di convalida è un momento essenziale, in cui serve la visibilità tra magistrato e imputato. Su questo punto, sono in dissenso col Capo Dap”.

 

RUOLI TECNICI DELLA POLIZIA PENITENZIARIA

Replica il DAP: “Ruoli tecnici anche nella Polizia Penitenziaria”. “Per scelta normativa - dice il capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - il mondo degli assistenti, degli psicologi, degli educatori in carcere non fa parte dell’Amministrazione penitenziaria. Vorrei creare dei ‘ruoli tecnici’ nel corpo della Polizia Penitenziaria. Così come nella Polizia di Stato esistono professionisti che non si occupano propriamente della sicurezza, ma fanno lavori a supporto del personale della stessa Polizia di Stato, vorrei che i così detti ‘ruoli tecnici’ entrassero nella Polizia Penitenziaria: esperti, educatori, assistenti sociali, psicologi, che siano anche poliziotti penitenziari. Questo per riconoscere economicamente professionisti spesso mal remunerati e sottovalutati, a torto. A oggi, c’è pochissimo personale civile che si occupi del trattamento dei detenuti. Altro problema è che solo una minima parte dei detenuti riceve assistenza sanitaria dalle Asl, regionalmente: parlo di pochissime ore settimanali di assistenza sanitaria in carcere. Propongo almeno 250 assunzioni di funzionari o esperti dell’area pedagogica, figure nuove che comprenderanno la così detta ‘area dei comparti centrali’, per un servizio di trattamento, non di custodia”.

Replica Palma: "E' bene che i ruoli restino diversificati e pluralisti". “Comprendo le motivazioni di Basentini di istituire ‘ruoli tecnici’ nella Polizia Penitenziaria, ma non le condivido. Secondo me - dice Palma - è una soluzione molto pericolosa. In un servizio come quello carcerario, che è un servizio per la collettività e deve mirare all’uscita di chi sta scontando una pena, è importante che i ruoli restino diversificati e pluralisti. La molteplicità degli approcci è un modo per aprire il detenuto anche a se stesso e alle sue responsabilità, di fronte a persone che hanno ruoli differenti tra loro. Adeguare i ruoli tecnici tra Polizia di Stato e Polizia Penitenziaria è concettualmente un errore: la Polizia di Stato ha un rapporto episodico con le persone, limitato nel tempo. Al contrario, il servizio di esecuzione penale ha un rapporto continuativo con i detenuti, estremamente delicato. Questo tipo di rapporti ha bisogno di variabilità di approcci, di molteplicità di sguardi, non di uniformità. Il sistema carcerario non è un sistema di Polizia".

 

LAVORO DETENUTI

Replica del DAP: “Il lavoro per i detenuti è una priorità”. “Parlo da osservatore di tutti i 197 istituti penitenziari e case circondariali e case di detenzione d’Italia - spiega il Capo DAP - Visito spessissimo questi luoghi e mi rendo conto che una priorità vera è il lavoro. E di questo si lamentano tanto i detenuti quanto gli operatori: direttori, educatori, personale di Polizia Penitenziaria, dicono che dando lavoro, e quindi dignità ai detenuti, loro stessi lavorano con maggiore serenità. Nella segreteria organizzativa del DAP abbiamo istituito un ufficio che si occupi dei contratti di lavoro esterni e interni per i detenuti. Mi riferisco soprattutto ai lavori di pubblica utilità, istituiti dal Ministro con i sindaci delle città. Uno dei progetti più importanti che si sta realizzando in questo periodo, si chiama ‘Mi riscatto’ ed è attivo a Roma, Torino, Milano e Palermo. I detenuti, dopo essere stati formati dentro, vanno a lavorare nella città, per la collettività. Lo scopo è quello di far uscire dalle carceri almeno 3.000 detenuti e farli lavorare fuori. Già a Roma, in questi giorni molti detenuti hanno fatto segnaletica orizzontale, pulizia di giardini e tombini.

Replica di Palma: "Un lavoro automatico e unitario, non discrezionale". “Il lavoro è un elemento fondante della Costituzione italiana e questo è un principio unico dal quale partire. A oggi, so che il DAP ha sottoscritto un protocollo con la Cassa delle Ammende, per il quale si dà ai detenuti un sussidio di 3 milioni di euro per i lavori socialmente utili: è il ‘Mi Riscatto’ di cui parla Basentini. Credo che, ovviamente, è meglio un sussidio di nulla. Ma il lavoro di pubblica utilità è gratuito e, quindi, non può essere considerato tale. Il sussidio della Cassa delle Ammende mi solleva, ma non annulla il mio dissenso: dobbiamo prevedere un lavoro automatico e unitario per i detenuti, non discrezionale e caduto dall’alto, come è un sussidio. Il binomio lavoro-salario non può mai essere sostituito dal binomio lavoro-sussidio. Non aderisco a questo progetto, a partire dal nome. ‘Mi riscatto’ è improprio: la pena, per chi commette reato, sta già nella privazione della libertà e, privato della libertà, il detenuto sta pagando per il suo reato, si sta riscattando tramite la pena. Il ricatto morale dell’aria in cambio del lavoro ottenuto con un sussidio, per altro con il personale penitenziario che sorveglia, è davvero poco dignitoso e infantilizzante".

 

SANITA' ED EX OPG

Replica il DAP: "Il problema degli ex OPG e la nostra impotenza". “Sanità da monitorare”. “I dati - spiega il Capo DAP - mi portano a dire che aumenta il numero di detenuti con profili psichiatrici. Una cosa è certa: le Rems, le strutture che hanno sostituito gli Opg, non funzionano, soprattutto numericamente. Quando furono finalmente chiusi gli Opg, bisognava concepire una serie di strutture con condizioni logistiche e trattamentali più adeguate. C’è il problema gravissimo di posti da occupare: nelle Rems di tutta Italia, sono circa 650 i posti disponibili, almeno altre 750 perone restano fuori. Di questi, che sono casi psichiatrici, devo segnalare che alcuni vengono tenuti in carcere senza titolo: dovrebbero andare in una Rems, ma rimangono in carcere perché lì non c’è posto. Il DAP cerca di sollecitate responsabili delle strutture ospedaliere e manager della sanità regionale alla tutela della salute dei detenuti. La causa del problema è fuori: esiste, cioè, un corto circuito del sistema inter-istituzionale. Quando l’Amministrazione deve custodire un detenuto con un problema medico, ma chi si deve occupare del problema medico non entra in carcere, lì il DAP è impotente.

Replica Palma: "Le illecite detenzioni". “Le Rems sono molto diverse tra di loro, sono poche forse, ma funzionano. Tenere in carcere persone in attesa di entrare in Rems si chiama “illecita detenzione”. Segnalo, piuttosto, che nelle Rems ci sono troppi individui con misure di sicurezza provvisoria e non definitiva. I dati ci dicono che, dalla chiusura degli Opg, sono percentualmente molto aumentate le misure di sicurezza provvisoria: mentre in passato, un Gip che doveva mandare il detenuto in Opg con una misura provvisoria ci pensava 50 volte prima di buttarlo in quell’inferno, ora, con strutture ben più civili degli Opg come le Rems, usa le misure provvisorie con maggiore facilità. Il che fa riempire queste strutture e non consente di smaltire le misure provvisorie. Il DAP si dovrebbe occupare, poi, dei detenuti in misura provvisoria che sono liberi, perché non c’è posto nelle Rems (farei anche notare a Basentini che non sono aumentati i reati commessi fuori da queste persone). In linea di principio, segnalo che il magistrato, prima di prendere un provvedimento, dovrebbe accertarsi delle possibilità di misure in atto, inoltre dovrebbero esserci più Rems.

 

SUICIDI DETENUTI

Replica il DAP: “I suicidi non sono una emergenza assoluta”. “Certamente - dice Basentini - l’aumento dei suicidi è un allarme insopportabile e credo si ricolleghi al problema sanitario e al lavoro. Ma, al momento, non rappresentano una emergenza straordinaria”.

Replica Palma: “Ogni suicidio è una vicenda a sé". "E non si può ricondurre a chi dirige il carcere - sottolinea il Garante Nazionele dei detenuti - sul suicidio carcerario gioca un elemento fondamentale: il sentirsi del tutto estranei e abbandonati dal mondo, dalla vita esterna. Durante gli Stati Generali, al di là dei modi e dei contenuti più o meno condivisibili, il detenuto si è sentito parte attiva del dibattito politico. Ora, si sente nuovamente un elemento passivo e dimenticato. Questo senso di inessenzialità assoluta, di non essere neanche un oggetto di scontro, per esempio, può essere un elemento forte di depressione. Va poi detto che l’Italia non ha un tasso di suicidi così elevato, rispetto ad altri Paesi europei. I tassi più alti di suicidi carcerari li troviamo nei Paesi Scandinavi e quelli carcerari corrispondono a quelli esterni, cosa che Italia invece non è, perché c’è una forte sproporzione tra l’aumento dei suicidi in carcere rispetto a quelli esterni, di molto inferiori”.

 

SOVRAFFOLLAMENTO CARCERI

Replica il DAP: "Sovraffollamento e misure alternative". “Sul sovraffollamento - dice Basentini - posso garantire che c’è un tendenziale aumento della popolazione detentiva, ma sembra livellarsi tra i 59.000 e i 60.000 detenuti da diverse settimane. Le soluzioni per arginare il sovraffollamento le sta adottando il Dap e lo stesso Ministero di Giustizia. Quest’ultimo si sta occupando degli accordi bilaterali con i Paesi che sono tra i più importanti fornitori di popolazione detentiva: Albania, Romania, Tunisia e Marocco. Il Dap, per le misure alternative, sta facendo una campagna d’informazione: in carceri, molta gente potrebbe usufruire delle misure alternative, ma gli stessi detenuti non fanno domanda di misure alternative perché non sanno cosa siano. Il Dap propone un provvedimento tramite brochures informative di 6-8 pagine, tradotte in 6 lingue differenti; si danno al detenuto al momento dell’ingresso e stanno nelle singole celle. Inoltre, il Dap si sta occupando di una norma di legge, finora non applicata e non so perché, valida per circa 2.000 detenuti, secondo la quale, quando un detenuto è stato catturato (perché scoperto in flagranza, per esempio) e deve scontare una pena al di sotto dei 2 anni, quel detenuto deve ottenere una ‘espulsione alternativa alla pena’: dopo essere stato identificato e arrestato, cioè, dev’essere trasferito nel suo Paese d’origine che, se lo ritiene necessario, gli farà scontare la pena, altrimenti, comunque, lo costringe a non muoversi da lì".

Replica di Palma: “Tre metri quadrati sono la soglia del diritto". Lo spazio disponibile di tre metri quadrati per ogni persona è la soglia minima al di sotto della quale scatta la violazione del diritto umano e non la si può considerare uno standard. In Italia, il sistema è 9 metri quadrati vale per il primo arrivato in una cella, più 5 metri per ogni nuovo detenuto, in celle che prevedono al massimo 4 posti. Questo parametro, che per altro è quello di abitabilità delle abitazioni civili, io stesso lo definisco eccessivo. Basterebbe applicare il parametro della Commissione Europea per la prevenzione della tortura: 7 metri quadrati, più 4 per ogni nuovo detenuto in una cella. Anzi, ultimamente si calcola che 6 metri quadrati, più 4 quindi, e quindi in 14 metri quarati, ci possono vivere 4 persone. Ma bisogna essere molto rigidi e controllare lo standard: non si può dire che abbiamo un parametro così alto di 9 mtq, ma poi non lo si rispetta.

 

SALA SITUAZIONI DAP

Replica del DAP: "La Sala Situazioni". All’interno del DAP, c’è una stanza inaugurata dopo il 2013, dopo quella giusta e indecente condanna della Corte Europea per i Diritti Umani per tortura a causa del sovraffollamento nelle carceri italiane. Da allora, la ‘Sala Situazioni’ monitora quotidianamente, 24 ore su 24, tutte le celle di tutte le carceri nazionali, attraverso un sistema informatico

che, a detta dello stesso Mauro Palma, è tra i più sofisticati e avanzati d’Europa. Tramite diversi schermi collegati a sistemi informatici, a loro volta collegati con ciascun istituto di pena, si controlla tutto: quante celle ci sono, chi entra e chi esce di minuto in minuto. Si accede alle celle con un click e, con un click, si può conoscere tutta l’esistenza dei singoli detenuti di ciascuna e di tutte le stanze. Fa venire un po’ di ansia questo luogo, per quel senso di controllo estremo a cui il detenuto è sottoposto, perennemente ‘sorvegliato e punito’. D’altra parte, l’esercizio del dubbio porta a pensare che, dando tanta attenzione a questi luoghi di pena e alle loro condizioni, il Potere non voglia dimenticare più la sua parte buia, come diceva Foucault".

La Repubblica


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