La sentenza della Corte d'assise di Bari: il capo-mafia Luciano Liggio è condannato al carcere a vita
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STORIA La sentenza della Corte d'assise di Bari: il capo-mafia Luciano Liggio è condannato al carcere a vita 24/12/1970 

I giudici lo hanno ritenuto responsabile di duplice omicidio - I delitti avvennero durante la lotta tra le «cosche» di Corleone - Gli sono stati inflitti altri 7 anni per associazione per delinquere - Liggio è latitante

Luciano Liggio, il presunto di Corleone, è stato condannato in contumacia all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Bari. Egli è stato riconosciuto colpevole del duplice omicidio premeditato aggravato contro Michele Navarra e Giovanni Russo. La sentenza è stata emessa dopo undici ore e 20 minuti di permanenza in camera di consiglio.

La Corte ha inoltre riconosciuto Liggio colpevole di associazione per delinquere e l'ha condannato per questo a sette anni di reclusione mentre ha assolto per insufficienza di prove dall'accusa dell'omicidio di Giovanni e Marco Marino e Pietro Maiuri. Degli imputati, al momento della lettura della sentenza, erano presenti soltanto Vincenzo Streva e Giuseppe Leggio.

La sentenza è stata accolta in silenzio dal numeroso pubblico che assiepava l'aula. Gli imputati (43 in tutto) accusati di omicidio o di tentativo di omicidio sono stati assolti per insufficienza di prove.

I giudici hanno poi condannato, riconoscendoli colpevoli di associazione a delinquere, Leoluca Leggio a cinque anni e sei mesi di reclusione e Giuseppe Leggio, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano, Salvatore e Giacomo Riina a cinque anni ciascuno di reclusione. Per sei imputati, che erano stati assolti con diversa formula dai giudici di primo grado di Palermo e Bari, la corte ha inoltre disposto misura di sicurezza della libertà vigilata per non meno di un anno. Sono stati, infine, assolti con diversa formula gli altri imputati accusati di associazione per delinquere.

Luciano Liggio, detto « la primula rossa di Corleone », è latitante. Nella sua requisitoria, il dott. Serrano aveva chiesto quattro condanne all'ergastolo e pene per complessivi 205 anni di reclusione: in particolare l'ergastolo per Luciano Liggio (duplice omicidio aggravato contro Michele Navarra e Giovanni Russo; triplice omicidio aggravato contro Giovanni e Marco Marino e Pietro Maiuri; associa, ione per delinquere), per Giuseppe Leggio (duplice omicidio Navarra-Russo; associazione per delinquere). Il pubblico ministero aveva poi chiesto la condanna a dieci anni di reclusione per Antonio e Giovanni Maiuri, accusati del tentativo di omicidio contro Giuseppe Ruffino e Bernardo Provenzano; per il primo, inoltre, aveva chiesto altri otto anni per associazione per delinquere. Quest'ultima pena, per lo stesso reato, era stata chiesta per altri 21 imputati.

C'era molta attesa per la sentenza (dopo le polemiche dei primi due procedimenti), emessa dalla corte di Bari. Stamane, a conclusione delle arringhe, c'era stata qualche scaramuccia tra pubblico ministero e collegio di difesa. Alle 10, la corte si era ritirata per decidere il verdetto. Nell'aula della corte d'assise d'appello di Bari andava e veniva una discreta folla di curiosi. I due soli imputati presenti Streva e Leggio (gli altri non si sono fatti vivi) hanno passeggiato a lungo per i corridoi del palazzo di giustizia in attesa della sentenza. I difensori avevano chiesto l'assoluzione con formula piena dei 45 imputati perché non avrebbero commesso i fatti loro addebitati.

Questo processo, cominciato il primo dicembre, risulta dall'unione di due procedimenti: quello per l'omicidio del medico Michele Navarra, svoltosi in primo grado davanti alla corte di assise di Palermo e conclusosi il 23 ottobre 1962, e quello per l'uccisione dei fratelli Marino e di Pietro Maiuri, cominciato a Bari lo scorso anno.

Nel luglio del 1969, la corte di assise di appello di Bari rinviò a nuovo ruolo il processo per l'omicidio Navarra in modo da consentire che il dibattimento si svolgesse contemporaneamente all'altro procedimento, trattandosi di avvenimenti accaduti nello stesso periodo e che avevano per protagonisti gli stessi imputati. I .fatti alla base dei due procedimenti accaddero in Sicilia durante la lotta tra quella che era ritenuta la « cosca mafiosa » di Liggio e quella del dott. Navarra per il predominio nella zona di Corleone, lotta che si concluse con l'uccisione di quasi tutti i componenti del secondo gruppo. Navarra morì in un'imboscata il 2 agosto 1958, mentre tornava a Corleone, sulla statale 118. Nella sua auto, crivellata dalla fucilate, si trovava anche il dott. Russo. La sera del 6 novembre dello stesso anno, in via Canzoneria Corleone, Marco Marino fucciso nei pressi della sua abitazione: fu ferita una bambina Maria Cutrona, che si trovava poco distante. Richiamati dalle detonazioni, accorsero il fratello di Marco Marino, Giovanni, e Pietro Maiuri. Anche contro di loro lurono sparati colpi di fucile; essi tentarono di fuggire, ma furono uccisi.

Secondo l'accusa, i fratelli Giovanni ed Antonio Maiuri ( « navarriani » come i precedenti) appresa la morte del nipote, si armarono e raggiunsero poco dopo per strada due appartenenti alla « cosca )! di Liggio: Giuseppe Ruffino e Bernardo Provenzano. Quest'ultimo fu ferito, mentre il Ruffino fuggi, rifugiandosi nel negozio di Annamaria Santacolomba; i fratelli Maiuri continuarono però a sparare; rimasero feriti, oltre al Ruffino e alla donna, anche Anna Guastella e Antonia Pinzarella, che si trovavano nel negozio.

Gli imputati, nei due procedimenti di primo grado, furono tutti assolti, sia pure con diversa formula dall'accusa di omicidio. Solamente Liggio ed altri sette furono condannati dai giudici palermitani a pene da cinque anni a quattro anni e tre mesi di reclusione per associazione per delinquere.

La successiva sentenza della Corte di assise di Bari, emessa la notte del 10 giugno, provocò polemiche ed inchieste della magistratura e della commisione antimafia. I giudici baresi (ai quali erano pervenute dalla Sicilia lettere minatorie mentre erano in camera di consiglio) assolsero, invece, Luciano Liggio e altri 63 imputati (nella maggior parte dei casi per non aver commesso il fatto) dall'accusa di associazione per delinquere, nove omicidi, otto tentativi di omicidio, violenze e favoreggiamenti personali.

La Stampa 24 dicembre 1970


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