Lotta alla mafia, la sfida trascurata anche da questo Governo
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MAFIA 41-BIS Lotta alla mafia, la sfida trascurata anche da questo Governo 27/11/2018 

C'è una parte d'Italia, da Foggia a Vieste e al tavoliere del Gargano, dove una mafia, sanguinosa e moderna, continua a sfidare ogni giorno lo Stato. Uccide, sparando anche tra la folla; è diventata uno dei principali snodi europei del traffico di droga, smercia in mezzo mondo cocaina, hashish e armi da guerra.

E nessuno, nonostante l'impegno di magistratura e forze di polizia, riesce a sconfiggerla. L'ultimo affronto, ieri pomeriggio, a San Severo. Un pregiudicato è stato inseguito nel pieno centro della città e ammazzato a colpi di kalashnikov mentre cercava riparo in un negozio da barbiere. Sono stati feriti due innocenti. Le strade erano piene ma nessuno ha visto.

Perché nessuno vede da queste parti: dodici omicidi dall'inizio del 2018, trecento negli ultimi 30 anni, l'80 per cento dei quali irrisolti, ha denunciato il procuratore distrettuale antimafia di Bari, Giuseppe Volpe, che da qualche anno, accanto a un gruppo di colleghi appassionati e per niente spaventati (pur rischiando ogni giorno la vita: la mafia foggiana aveva progettato l'assassinio di un giovane pm), chiede che le luci dello Stato siano accese su questo territorio. Perché se c'è una maniera per vincere, quella è illuminare, raccontare, investire. Combattere.

Lo avevano promesso sia l'attuale sia il precedente governo: ogni anno, dopo ogni strage arriva in Puglia un ministro dell'Interno, o magari un premier. E promettono. Era arrivato Marco Minniti, che effettivamente ha fatto nascere nuove unità investigative di carabinieri e polizia. Sono venuti Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte, poi il ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Ma non c'è mai una svolta, non c'è mai un'azione incisiva per riconquistare il territorio.

È come se in questa parte d'Italia venisse accettata una sorta di sospensione del diritto. Mentre si continua a descrivere i mafiosi foggiani come clan arcaici, simili a pastori, questa organizzazione è diventata potente: sono gli unici referenti delle cosche albanesi e sono attivi in tutta Europa. Assaltano i portavalori con i bazooka per finanziarsi, poi investono i proventi dei loro traffici in locali e supermercati. Foggia è l'ultimo sintomo di un grande male italiano. Perché dimostra come la minaccia delle mafie condizioni ancora il futuro del Paese. E come, però, continui ad essere fortemente sottovalutata.

La sparatoria di San Severo avviene all'indomani delle parole incaute e pericolose pronunciate dal candidato dei 5 Stelle a Corleone. E avviene nella stessa giornata del sequestro dei beni per un miliardo e mezzo a imprenditori vicini' al latitante Matteo Messina Denaro: tra loro, anche i vecchi proprietari della Valtur. I padrini avevano comprato anche le nostre vacanze, a conferma che la mafia qui, accanto a noi. Eppure questi campanelli d'allarme - sentiti nelle raffiche di Foggia, negli ammiccamenti di Corleone e nei patrimoni di Trapani - non suonano per tutto il Paese.

A livello nazionale, la lotta alle mafie non sembra più essere una priorità: i disegni di legge del ministro Salvini sono concentrati contro i migranti. E sul territorio si assiste all'incredibile situazione del palazzo di giustizia di Bari, senza veri uffici da mesi, senza possibilità di garantire udienze, arresti e sentenze in condizioni civili.

La risposta dei 5Stelle pare preferire il campanilismo all'efficienza, con la proposta di aprire una sede della procura distrettuale antimafia pure a Foggia: una misura che richiederebbe anni prima di entrare in azione. Stiamo dimenticando la lezione di Giovanni Falcone. La lotta alla criminalità organizzata è una cosa seria: non si fa con gli slogan, ma con provvedimenti concreti.

La Repubblica


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