Storia Penitenziaria 1970: amnistia, condono e i primi processi alla mafia di Luciano Liggio
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NOTIZIE Storia Penitenziaria 1970: amnistia, condono e i primi processi alla mafia di Luciano Liggio 06/05/2019 

La riforma penitenziaria, promessa da tempo dalla politica e pretesa dai detenuti con le rivolte nelle carceri degli anni scorsi, ancora non è arrivata e non arriverà nemmeno nel 1970.

 

Il capo della mafia invece, Luciano Leggio (detto Liggio) è già in carcere, ma la mafia per lo Stato, ancora non esiste e Liggio nel processo di appello a Bari, viene assolto dall’accusa di aver compiuto 9 omicidi insieme ad altre 54 persone. Per i giudici di Bari mafioso non significa appartenere automaticamente ad un'associazione per delinquere e il detenuto Luciano Raia, che aveva ascoltato nel carcere di Palermo le conversazioni fra due mafiosi, considerato il cardine dell'accusa, per i giudici “Risulta che è stato più volte ricoverato in manicomio; che è un omosessuale e che si è indotto a parlare soltanto dopo avere avuto assicurazione dal vice questore Angelo Mangano che sarebbe stato aiutato per ottenere un'eventuale libertà provvisoria”.

 

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Storia Penitenznaria: 1970


Dai primi giorni di gennaio si parla di amnistia e condono (quello che poi verrà chiamato indulto) e nel frattempo entra in vigore la legge 5 dicembre 1969 n. 932, che modifica radicalmente alcuni capitoli fondamentali dell'indagine processuale: il fermo di polizia non può essere protratto oltre le 48 ore; gli interrogatori debbono essere fatti dal magistrato; la nomina del difensore è immediata; nessuno è tenuto a deporre contro sé stesso: l'imputato ha la facoltà di non rispondere.


Nella notte tra il 30 aprile e l’1 maggio, il Consiglio dei ministri decide di presentare al Parlamento, su proposta del Guardasigilli on. Oronzo Reale, un disegno di legge con cui si delega il Presidente della Repubblica a concedere una amnistia ed un condono per i reati compiuti entro il 31 dicembre 1969. Giovanni Conso scrive su La Stampa: “sino a che non verranno affrontati in modo organico e moderno i temi di fondo della nostra società, i provvedimenti d'emergenza, autentici palliativi del momento, si presenteranno come una ineluttabile, anche se illusoria, ancora di salvezza, cui il potere politico non saprà né potrà rinunciare”.


Dal 1865 i provvedimenti di clemenza sono stati oltre duecento e a questi si vanno ad aggiungere l’amnistia e il condono firmati il 22 maggio dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat che estende il provvedimento a tutti i reati compiuti entro il 6 aprile 1970 anziché entro il 31 dicembre 1969 come aveva proposto il Consiglio dei Ministri. Le previsioni parlano di dodicimila detenuti scarcerati, un milione di processi verranno archiviati, ogni persona dimessa dalla prigione riceverà 10 mila lire per tornare a casa e sarà aiutata a trovare un lavoro.


A fine giugno arriva la sentenza per la rivolta del 12 aprile dello scorso anno che ha distrutto il carcere di Torino “Le Nuove”: su 63 imputati, ne vengono condannati (con pene lievi) solo 14 e solo per danneggiamento aggravato e continuato, concedendo le attenuanti generiche e quella di “aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale” perché la protesta denunciava le difficili condizioni della vita di tutta la popolazione detenuta.


Tra i dodicimila detenuti amnistiati c’è anche Luciano Liggio che a metà novembre fa perdere le sue tracce. Con la sentenza in Corte d’Assise di Bari di fine dicembre, Liggio viene ritenuto il capo della mafia e condannato in contumacia all’ergastolo. Cinque anni di reclusione per associazione a delinquere per Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano, Salvatore Riina.


Un paio di settimane prima, un altro fatto ha scosso alle fondamenta il Paese, ma ancora nessuno lo sa. La notte tra il 7 e l’8 dicembre, una colonna di camion con a bordo circa duecento Guardie Forestali, è partita dalla caserma di Città Ducale (vicino Rieti) in direzione di Roma. E’ il cosiddetto “Golpe Borghese” capeggiato dal “Principe Nero” Junio Valerio Borghese, Comandante della “X Mas” durante la seconda guerra mondiale. Il piano prevede l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento; era previsto anche il rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l'assassinio del Capo della Polizia Angelo Vicari. L’ordine che annulla il piano arriva quando la colonna è arrivata quasi al centro RAI di Via Teulada. Il colpo di Stato in questione sarebbe stato appoggiato anche da Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, ovvero dai vertici mafiosi del tempo e qualcos’altro infatti, è già in preparazione.


Il 5 maggio del 1971, la mafia compirà il suo primo attacco stragista al cuore dello Stato uccidendo il Procuratore Capo di Palermo Pietro Scaglione e il suo autista Antonio Lorusso, Appuntato degli Agenti di Custodia. Nel 1987 il collaboratore Antonino Calderone dichiarerà che l'omicidio di Scaglione faceva parte di una serie di azioni eversive attuate da esponenti mafiosi in seguito al fallito Golpe Borghese, in cui si poteva inquadrare anche la sparizione del giornalista Mauro De Mauro. Nel 1992, durante un'audizione della Commissione Parlamentare Antimafia, Tommaso Buscetta confermerà le dichiarazioni di Calderone ed aggiuge che “Luciano Liggio stabilì di sua volontà di creare un clima di tensione nell'ambiente politico per preparare il colpo di Stato (il Golpe Borghese). Ognuno prese le sue mosse su quale fosse il politico da colpire. L'obiettivo di Luciano Liggio fu il procuratore Scaglione”.

 


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