Agenti penitenziari finiscono sotto processo per un like su Facebook: criticarono le condizioni del carcere di Varese
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SENTENZE E PROCESSI Agenti penitenziari finiscono sotto processo per un like su Facebook: criticarono le condizioni del carcere di Varese 18/07/2018 

Il carcere di Varese è «il vespasiano d’Italia»: finiscono a processo per un post su Facebook l’autore del pesante commento ma anche chi ne aveva condiviso la posizione, semplicemente con un “pollice alzato” in rete. Alla sbarra in tutto ci vanno otto persone: il sindacalista che digitò sulla tastiera l’infuocata critica, due agenti che avevano commentato con parole di sostegno e cinque che si erano limitate a mettere un “like”. Le accuse sono di diffamazione a mezzo stampa (i social sono equiparati di fatto dalla giurisprudenza corrente a organi di informazione) e di procurato allarme.

I fatti risalgono al marzo 2014. Il sindacalista, che rappresenta la categoria degli agenti di Polizia Penitenziaria e che non opera però dentro al carcere dei Miogni di Varese, raccolte alcune informazioni sulle condizioni della casa circondariale ha esternato la sua opinione su Facebook (qualificandosi come sindacalista e, anzi, esibendo il simbolo della sigla sindacale che rappresenta nella foto profilo). Opinione espressa in modo colorito: «Il carcere di Varese è il vespasiano d’Italia e deve essere chiuso». Pochi minuti e sette Baschi azzurri gli hanno dato man forte. In due hanno scritto un commento di sostegno: «Grande, siamo tutti con te», «Hai tutto il nostro sostegno».

Altri cinque agenti si sono limitati a mettere un like al commento. Per la Procura di Varese (e in questa direzione sono orientate le ultime sentenze della Cassazione) il like va oltre la semplice espressione di un’opinione, diventando strumento che condivide e rafforza il presunto messaggio diffamatorio. La posizione di chi mette il classico “mi piace” a un post è equiparata a quella di chi il post lo ha pensato e scritto. Degli otto imputati, sette hanno scelto di affrontare il dibattimento, uno soltanto ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato. Quest’ultimo comparirà davanti al gup a ottobre. Gli altri sette davanti al tribunale ordinario il 22 gennaio.

«Credo – spiega Andrea Prestinoni, avvocato difensore del rappresentante sindacale – che il contenuto del post rispetti i paletti del diritto di critica. E così vale per chi ha commentato o messo un like allo scritto. Il mio assistito, tra l’altro, è un sindacalista, ha un ruolo sociale, di denuncia, diverso da quello del semplice cittadino». E aggiunge: «In ogni caso non c’è alcuna diffamazione nei contenuti, seppur coloriti, del post in quanto che il carcere di Varese abbia gravi carenze strutturali è cosa nota e ben documentata. Il decreto Fassino del 2001 lo destinava alla chiusura. Nel 2013 le suddette carenze sono state oggetto di un’interpellanza parlamentare e di recenti proteste da parte dei detenuti. Non c’è più il problema del sovraffollamento, ma lo stato della struttura è noto».

ilgiorno.it


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