Alessandria: sanguinosa rivolta in carcere ostaggio ucciso, quattro feriti
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STORIA Alessandria: sanguinosa rivolta in carcere ostaggio ucciso, quattro feriti 10/05/1974 

Stamane tre carcerati hanno sequestrato quindici persone. Ne hanno uccisa una, il medico della prigione, c ferita gravemente un'altra, un insegnante, altre due le hanno rilasciate quasi folli per lo choc. I ribelli sono asserragliati nell'infermeria con ancora undici ostaggi. Hanno pistole e decine di pallottole. Dettano condizioni. Barattano la vita degli ostaggi con la fuga e la libertà. Chiedono per questo un pulmino e la scorta della polizia. L'ultimatum scade domattina: se alle 9 non avranno avuto quanto chiedono, uccideranno un ostaggio ogni mezz'ora.

I loro prigionieri, si è detto, sono undici. Dicono i rivoltosi: estrarremo a sorte la prima vittima alle 9,30. La seconda alle 10. Andremo avanti fino alle 14,30. La vita di questi undici uomini in cambio della nostra libertà. Sta a voi decidere. Se si sperava in un bluff, se c'erano dubbi sulle loro minacce, sono caduti stasera alle 20 quando, per un tentativo di carabinieri di sbloccare la situazione, i rivoltosi hanno incominciato a uccidere. Che cosa accadrà ora? Si aspetta, non c'è altro da fare che aspettare: i ribelli hanno detto: ({Andremo fino in fondo, senza pietà per nessuno ».

Ecco la cronaca della drammatica giornata. Come ogni mattina, una settantina dei 260 carcerati della prigione di Alessandria seguono le lezioni volontarie. Sono corsi medi e tecnici. Alle 9,50, durante l'ora di topografia, tre detenuti si alzano dai banchi e vanno verso l'inssgnante, l'ingegner Vincenzo Rossi. Due hanno pistole. « Professore, non si muova e non gridi ».

« Fate una sciocchezza ». « Zitto ». E' Cesare Concu che parla. E' il capo della rivolta e per tutta la giornata sarà soltanto lui a parlamentare e a trattare. Condannato a 24 anni per avere strozzato la moglie, gli restano da scontare nove anni. Gli altri due sono Domenico Dibona ed Everardo Levrero, il primo con ancora sette anni di galera, il secondo con quattro. « Usciremo di qui, costi quel che costi ». dice il sardo Concu. Fanno camminare davanti a loro, con le mani alzate, il professore, e vanno nelle altre aule e prendono altri ostaggi: il professor Ferraris, i dottori Demanuelli, Campi e Gai, don Martinengo, insegnante di religione A tutti, poche parole secche, brutali: « Silenzio e badate, se no spariamo ». Sono tre soli, nessuno degli altri detenuti si associa alla rivolta. Tutti restano ai loro posti zitti, paiono indifferenti. Uno di loro (si tace il nome perché non rischi rappresaglie) riesce a sgattaiolare fuori dall'aula e a dare l'allarme. Sono le 10. Intanto, i rivoltosi sono entrati con sei ostaggi nell'infermeria, che è al secondo piano sullo stesso corridoio delle aule. Qui sequestrano il medico, dottor Gandolfo, e l'infermiere, appuntato Apra.

Accorrono guardie carcerarie, disarmate: i brigadieri Allegrini, Cantiello e Capuano, gli appuntati Gaeta, Caporaso e Tuia. Sulla porta dell'infermeria li aspetta Concu, freddo e deciso, la pistola puntata e una manciata di proiettili nella sinistra. Ordina alle sei guardie di entrare a braccia alte: « Uccido chiunque non ubbidisce ». Gli ostaggi sono ora quattordici. Diventano quindici con l'assistente sociale Giarola Vassallo di trent'anni, che sarebbe andata volontariamente per aprire trattative.

Ore 11,15. E' scattato il piano di emergenza. Le ottanta guardie carcerarie sono armate tutte e appostate sulle scale che portano al secondo piano, mentre accorrono carabinieri e polizia, giungono rinforzi da fuori Alessandria. Centinaia di uomini venuti anche da Torino. La zona è circondata, bloccata. Vengono il procuratore Burzio, il sostituto Parola, il generale dei carabinieri Dalla Chiesa e il comandante del gruppo colonnello Musti.

Alle 13,30 telefonano i rivoltosi chiedendo il pranzo per sé e per gli ostaggi. Vengono portati panini, mele, acqua minerale e caffè, e sono passati davanti alla porta dell'infermeria come ordinato. Si intravvede il Concu che ritira i viveri: è sempre calmo, ha l'aria sicura persino beffarda. Chi lo ha visto riferisce: «Attenti, quello è deciso a tutto. Non fate mosse false ». Continuano ad affluire rinforzi. Arrivano cani poliziotto, giungono tiratori scelti, vengono portati giubbotti antipallottola e distribuite le granate lacrimogene, poco distante si posa un elicottero dei carabinieri pronto ad intervenire. Passano ore snervanti, la tensione cresce. C'è un innaturale silenzio in tutta la zona. Alle 17 arriva il fratello del Concu, sale a parlare con lui, cerca di convincerlo a lasciare liberi gli ostaggi, ad arrendersi. « Cesare non hai scampo » gli dice. E' trattato con asprezza.

Finalmente c'è un primo contatto. Il sostituto procuratore Parola riesce a parlare con Cesare Concu, il quale gli cuce: « Detterò le nostre condizioni al procuratore generale e vogliamo che venga qui con tre giornalisti di Alessandria ». 

Il cortile del carcere è affollato dai carabinieri con fucili e mitra, ma nessuno osa avvicinarsi all'infermeria, si sa che i rivoltosi sono decisi, implacabili. Arrivano quattro ambulanze, sono posteggiate davanti all'ingresso del carcere. Più tardi vengono portate nel cortile quattro barelle. 

Alle 17,50 il procuratore generale Reviglio Della Venaria e i tre giornalisti Franco Marchiaro, Giuseppe Zerbino ed Emma Camagna vanno al colloquio offerto o imposto dai rivoltosi.

Esplode dall'interno una rivoltellata, sparata forse per rendere più « convincenti » le richieste che Concu sta dettando: sono durissime. Chiede un pulmino per domattina tra le cinque e le nove per andarsene con i due complici e gli ostaggi; tutti e quindici. Chiede anche una scorta di polizia. Se la richiesta non sarà esaudita, alle nove e trenta verrà ammazzato un ostaggio, e se ne ammazzerà un secondo alle dieci, e si continuerà con cadenza infernale: un omicidio ogni mezz'ora. Il colloquio dura una ventina di minuti. La notizia dell'ultimatum corre fuori dal carcere, aumenta lo sgomento. Concu è stato categorico: se la richiesta non sarà accolta, ammazzerà quindici persone. Non bluffa. Lo farà. Cedere al ricatto? Si informa il ministero dell'Interno. Non si conosce la risposta. Pare che Roma abbia detto di no, che il Diktat dei rivoltosi è inaccettabile. 

Ore 19,30. Esplode la tragedia che da dieci ore era nell'aria. La situazione precipita all'improvviso. Si sentono spari nell'interno del carcere. Che cosa accade non si sa. Pare che carabinieri e guardie carcerarie abbiano tentato un'azione di sorpresa, sventata dai rivoltosi che hanno sparato. Si risponde, aumenta la fucileria. Si sentono sirene, arrivano altre ambulanze, accorrono ovunque uomini armati. Esplodono i lacrimogeni, la folla che era tenuta ai margini della piazza fugge in preda al panico. Dal carcere escono due carabinieri sanguinanti, vanno da soli al vicino ospedale. Dopo pochi minuti escono di corsa infermieri con una barella, sulla quale è il dottor Gandolfi, morente per un proiettile alla testa. E quasi subito un'altra barella con il dottor Campi ferito alla faccia. Mio dio, cosa sta accadendo, un massacro? Ancora spari, l'aria è irrespirabile per i lacrimogeni. Escono dalla prigione due delle guardie prese in ostaggio sotto forte choc, a braccio vengono accompagnati al pronto soccorso. Non riescono a parlare, non sanno dire quello che è accaduto. 

Ore 20. Dopo mezz'ora la battaglia si spegne all'improvviso. Impossibile avvicinarsi al carcere, sapere che cosa è accaduto. Ritorna il silenzio irreale e doloroso. Sento mormorare: « Conoscevo il dottor Gandolfi. Un galantuomo...». La paura è che tutto non sia finito. I rivoltosi hanno dimostrato di essere decisi a tutto. Hanno ancora undici ostaggi. L'angoscia è pesante. Ci si prepara a passare una lunga e tremenda notte, nella quale tutto può accadere. 

La Stampa 10 maggio 1974

 

 


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