Arrestato Liggio, capomafia
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STORIA Arrestato Liggio, capomafia 17/05/1974 

Abitava in un lussuoso appartamento con una donna e un bambino - Quando i finanzieri sono entrati in casa, non si è neppure alzato dal letto - "L'ho riconosciuto subito", racconta il colonnello che lo ha arrestato - Prima di seguire gli agenti, il "boss" si è rasato, poi ha consegnato una valigetta con quattro pistole e le munizioni - Sulla sua "Bmw" c'era una "maschine-pistole".
Cercavano « Antonio », una « persona interessante » nelle indagini per i rapimenti Torielli-Montelera: hanno trovato lui, Luciano Liggio, uno dei « fantasmi » che più. pesavano (per le modalità della sua ultima, oscura, scomparsa nel novembre del 1969) sulla coscienza nazionale. La «Primula rossa di Corleone », quest'uomo di 49 anni che ha praticamente trascorso la vita nascosto (gli si calcolalo ventisei anni di latitanza, interrotti da cinque anni di carcere), è stata presa quasi per caso, stamane alle 6,30, in un appartamento di cinque stanze doppi servizi al sesto piano di un edificio rivestito di lucide mattonelle color marroncino, in un centro residenziale di recente costruzione, piuttosto elegante, alberi, aiuole fiorite, marmi, ferri battuti. Si faceva chiamare Antonio Ferrugia, conduceva esistenza ritirata, viveva con una donna e un bambino di due anni, che i vicini ritenevano fosse la sua famiglia. La cattura non ha avuto momenti di drammaticità. Ecco come è stata descritta, tra le 14,45 e le 15,30, dai protagonisti dell'operazione, riuniti con i giornalisti intorno a un tavolo nella biblioteca del comando della Guardia di Finanza, in via Fabio Filzi, Il primo a parlare è stato il dott. Turone. E' il magistrato che, alle 14,30 di giovedì 14 marzo, indagando sul sequestro Tornelli, scoprì in un cascinale di Calvenzano, a Treviglio, sotto la stalla, la prigione di Luigi Rossi di Montelera. I proprietari della cascina erano siciliani, nella zona in soggiorno obbligato: quel giorno stesso si cominciò a parlare di una « anonima sequestri » di stampo mafioso, che agiva in Lombardia e in Piemonte stendendo la sua rete appunto fra i numerosi (quasi trecento nella sola Lombardia) « confinati » per sospetta appartenenza a cosche. E quel giorno stesso si cominciò a riparlare di Luciano Liggio, come del possibile capo. Ipotesi, naturalmente, non più che ipotesi. Liggio era un « fantasma » ormai da cinque anni: era stato visto in Svizzera (« una clinica compiacente gli ha fatto la plastica facciale» si scrisse), ma in realtà non si sapeva nulla di lui. « L'operazione è nata — ha detto il dott. Turone — sulla strada che si è seguita, e continuiamo a seguire dopo il ritrovamento della prigione in cui era rinchiuso il Montelera. E' un'inchiesta di trentaquattro fascicoli, un continuo mettere insieme tasselli, collegando persone e fatti. E' quanto si è fatto stamane. In via Ripamonti 166 (l'indirizzo del condominio) si sapeva che poteva esserci una "persona interessante", di cui conoscevamo soltanto il nome di battesimo, Antonio, appunto. Questo, dunque, l'antefatto. Sull'operazione in sé, parla il colonnello Sessa: «E' stata un'operazione su vasta scala, perché bisognava accedere a vari domicili e occorreva che scattasse contemporaneamente. Gli obiettivi erano cinque: via Giambellino 56, dove ha sede la "Vinicola Borroni" di Giuseppe Pullara; via Giambellino 57, dove ha abitazione Ignazio Pullara; viale Umbria 50, dove sono la direzione e il deposito della Vinicola; via Lavezzali 10, dove ha abitazione Giuseppe Pullara; via Ripamonti 166, dove si sperava di trovare questo "Antonio". Per i due Pullara, che sono di San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, erano già stati spiccati i mandati di cattura: associazione per delinquere e favoreggiamento personale di uno degli indiziati nei sequestri Torielli e Montelera. Per "Antonio", si doveva vedere. Sono stati impiegati quarantasei uomini, tutto si è svolto senza incidenti, sen za resistenza. I due Pullara sono stati raggiunti nelle loro abitazioni. Sequestrati documenti e alcune pistole ». E « Antonio »? Di « Antonio » parla il colonnello Vissicchio, che ha guidato con il maggiore Enzo Lombardo la missione in via Ripamonti, rivelatasi inaspettatamente tanto fruttuosa. « Eravamo in nove. Tre uomini sono rimasti sotto, noi siamo saliti. Non c'era targhetta sulla porta. Comunque, bussiamo e viene ad aprirci una donna, anziana, mi è parso, ritengo fosse la domestica. Ci qualifichiamo e entriamo. In una camera da letto troviamo un uomo che riposava. Se dormiva? Ho detto che riposava. Sì, steso sul letto, in pigiama. Aveva baffi piuttosto consistenti. L'ho riconosciuto subito. Se ha fatto la plastica facciale? Direi di no. E poi, gli occhi, lo sguardo uno non se li potrà mai cambiare. No, non avevo mai visto prima il Liggio. Soltanto in fotografia, sul bollettino segnaletico. Bene, 10 guardo e dico: "Lei chi è?». Quello, tranquillo, risponde: " Fra poco glielo dirò ", e lentamente si solleva. Sarà trascorso un minuto. Poi io riprendo: "Lei è...", ma non dico il nome. E lui: "Sì, sono... ". Nemmeno lui dice il nome. Ormai non ce n'era più bisogno ». Ma continuiamo il racconto del colonnello Vissicchio. « Liggio si è alzato, si è vestito, si è fatto la barba. Poi mi ha preso per una mano e mi ha portato verso un armadio. Da sopra ha tolto una valigetta. "Sa che cosa c'è dentro?" mi ha chiesto sorridendo. Era una di quelle valigette che usano gli appassionati del tiro a segno: l'ho riconosciuta subito. "Lo intuisco" gli ho risposto. Dentro c'erano quattro pistole "Smith & Wesson" due a canna lunga e due a canna corta, calibro 38. Con le relative munizioni, naturalmente. Sì, c'era anche un bambino. Dell'apparente età di due anni, dormiva in una stanza vicina. Ma, Liggio, come sapete, non è sposato. Di chi è 11 bambino non sappiamo. Dobbiamo fare ancora molti accertamenti. Anche la donna, la domestica. Voi dite che si chiama Paranzani. Sulla porta, ho detto, non c'era la targhetta. Nel box poi abbiamo trovato la macchina, è una "Bmw" e dentro c'era una maschin-pistole calibro 9 lunga. E poi abbiamo trovato carte d'identità e passaporti falsi ». Portato al comando della Guardia di Finanza (a differenza del 1964, quando dovette essere trasportato in autolettiga, stavolta si è mosso da solo, soltanto leggermente zoppicando, ed è apparso in condizioni discrete, se non proprio buone). Luciano Liggio non è stato interrogato. L'unico atto è stato l'accertamento dell'identità. Insomma, l'indagine su Liggio in quanto implicato nei sequestri non è ancora cominciata. Comincerà domani alle 15, quando sarà interrogato nel carcere di Lodi, dove è stato portato con grande segretezza. Sul punto centrale della vicenda — il peso di Liggio nella « anonima sequesti » — le domande hanno urtato una barriera di cortese riserbo: « L'inchiesta non è ancora cominciata » è stato risposto. Ecco comunque le domande e le risposte sull'argomento: « Ci sono elementi per accertare che Liggio era il capo di una ben delineata, precisa organizzazione? ». « Allo stato degli atti no ». « Nell'organizzazione delle squadre dei rapitori che voi certamente avete delineato, Liggio ha un posto?». « Un posto sì, quale esso sia di preciso non sappiamo ancora ».

 

 La Stampa 17 maggio 1974


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