Collaborazione del boss: sospetti sui Poliziotti penitenziari che avrebbero avvisato la cosca
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MAFIA 41-BIS Collaborazione del boss: sospetti sui Poliziotti penitenziari che avrebbero avvisato la cosca 22/12/2019 

Giovanna Ortensia Del Vecchio e Rita Rosaria Del Vecchio sono rispettivamente la madre e la zia di Emanuele Mancuso, ex rampollo dell’omonima famiglia di Limbadi, oggi collaboratore di giustizia. Nei loro confronti il gip distrettuale di Catanzaro Antonio Battaglia ha disposto, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, gli arresti domiciliari. Secondo l’accusa, in concorso tra di loro e insieme all’ex compagna del pentito Nency Vera Chimirri, avrebbero fatto pressioni, offerto denaro e perpetrato violenza psichica per indurre Emanuele Mancuso a ritrattare e ad uscire dal programma di protezione. “Torna con noi. Ti fai galera e poi ti diamo i soldi e te ne vai in Spagna ad aprirti un ristorante”. Hanno provato in tutti i modi le donne della famiglia Mancuso a far desistere Emanuele a cambiare vita.

 

 

MINACCE ALLA NEONATA PER FAR CROLLARE IL COLLABORATORE

“Ritratta o non vedrai più tua figlia”. Mai un uomo dei Mancuso aveva deciso di saltare il fosso ed Emanuele è il figlio del boss Pantaleone, alias l’ingegnere, il quale appena saputo della collaborazione del figlio con Nicola Gratteri e i suoi magistrati è sparito dalla circolazione rendendosi irreperibile. Con lui anche l’altro figlio, Giuseppe Salvatore. E mentre gli uomini si erano dati alla fuga, le donne avrebbero provato con una fine strategia a convincere Emanuele Mancuso a tornare sui suoi passi. Per riuscire nell’intento avrebbero utilizzato l’ex compagna Nency Vera Chimirri e la bimba appena nata. Pressioni psicologiche durissime che lo hanno fatto barcollare fino a non farlo presentare ad un interrogatorio. Il rischio per lui non era la vita ma la possibilità di non rivedere più la figlia. Tutto però era monitorato dai Carabinieri e dalla Dda che hanno seguito la vicenda passo dopo passo. Questa mattina i militari dell’Arma hanno eseguito le misure cautelari nei confronti della mamma e della zia di Emanuele Mancuso finite ai domiciliari e anche nei confronti dell’ex compagna la quale invece non potrà tornare in Calabria per un divieto di dimora. Convalidato l’arresto in carcere per Giuseppe Salvatore Mancuso e per il suo favoreggiatore durante la latitanza Francesco Antonio Pugliese (trovati in possesso illecito di un’arma di precisione e di munizionamento). Le due donne sono accusate di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. Tutto aggravato dal metodo mafioso. Complessivamente sono dieci gli indagati, coinvolti a vario titolo nella vicenda.

SOSPETTI SUI POLIZIOTTI PENITENZIARI

Le minacce del fratello. In questa nuova inchiesta condotta dal Nucleo investigativo dei Carabinieri guidato dal maggiore Valerio Palmieri sotto il coordinamento della Dda di Catanzaro diretta dal procuratore Nicola Gratteri vengono coinvolti anche il padre del pentito, Pantaleone, detto l’ingegnere, e il fratello più grande Giuseppe Salvatore Mancuso, entrambi detenuti. Quest’ultimo, catturato dopo un periodo di latitanza a Zaccanopoli proprio qualche settimana fa, dopo aver appreso delle intenzioni del fratello di collaborare con la giustizia ha inviato una lettera nella quale indicava al fratello il codice di comportamento da tenere all’interno del carcere intimandogli di non parlare della “famiglia” come stava facendo con un avvertimento: “Sappi che se combini qualche cazzata ci saranno delle conseguenze, immagina se ci incontreremo”. Emblematica l’ultima frase con la quale si conclude la lettera: “Le parole si pagano”. Emanuele aveva appena deciso di saltare il fosso. Ma chi aveva informato i Mancuso della sua decisione? Per gli inquirenti sarebbe stato personale della Polizia Penitenziaria allo stato rimasto ignoto. Subito dopo essere stato arrestato nell’operazione “Nemea” contro il clan Soriano, Emanuele Mancuso era stato portato in carcere a Siano e aveva espresso la volontà di collaborare con la giustizia. Giuseppe Salvatore Mancuso, unitamente al compagno di cella Giuseppe Pititto, 27 anni di Vibo (anche lui indagato in questo procedimento e attualmente detenuto), si sarebbero affacciati a turno dalla finestra del prigione intimandogli con tono minaccioso di ritornare indietro, di ritrattare perché altrimenti “avrebbe fatto la fine degli altri” aggiungendo che tutti i detenuti della sezione erano a conoscenza della notizia della sua collaborazione.

LE PRESSIONI DELLA MADRE

Giuseppe Salvatore Mancuso avrebbe appreso del “pentimento” del fratello dal alcune “guardie” del penitenziario dove si trovava ristretto e, una volta avuta la notizia, avrebbe informato la madre Giovannina Ortensia Del Vecchio e, quest’ultima, il marito: “Tuo figlio si è fatto collaboratore… è uscito pazzo tuo figlio”. L’unico canale per comunicare in qualche modo e in maniera riservata con Emanuele Mancuso sarebbe stato Nency Vera Chimirri, l’ex compagna appena diventata mamma. E’ a lei che si rivolgono i familiari del pentito. Secondo l’accusa Giovannina Ortensia Del Vecchio e Rosaria Rita Del Vecchio avrebbero quindi “concordato la strategia operativa con la Chimirri stabilendo il comportamento che la donna avrebbe dovuto tenere per persuadere il detenuto a ritrattare e ad interrompere la collaborazione con la giustizia”. La strategia difensiva dei familiari era quella di farlo passare per pazzo. In cambio mamma e zia gli avrebbero offerto denaro, l’apertura di un bar o di un esercizio commerciale lontano dal contesto vibonese. A farlo vacillare è stato la minaccia di non fargli più vedere la figlia.

IL BLITZ NELLA LOCALITA' SEGRETA

Pressioni, minacce velate e violenze psicologiche che sarebbero avvenute anche nel corso di colloqui telefonici richiesti da Emanuele per conoscere la situazione familiare. Addirittura madre e zia si sarebbero fatti rivelare la località protetta dove Mancuso era agli arresti domiciliari e la madre, insieme al genero Antonio Maccarone, sarebbero giunti a pochi metri dall’alloggio dove si trovava nella località protetta con lo scopo di prelevarlo dal luogo dove si trovava in detenzione domiciliare. Un tentativo vano per via del trasferimento d’urgenza del pentito in altra località. A fronte del patto che aveva fatto con la madre Emanuele Mancuso nello scorso mese di maggio non si è sottoposto all’interrogatorio della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Un piano sfumato con l’intervento decisivo e determinante dei Carabinieri e la collaborazione è ripresa a pieno regime e promette nuove, clamorose inchieste.

zoom24.it


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