Cosa nuova, l'organizzazione nata dopo le stragi di Falcone e Borsellino tra cosa nostra e 'ndrangheta per evitare la batosta dello Stato
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MAFIA 41-BIS Cosa nuova, l'organizzazione nata dopo le stragi di Falcone e Borsellino tra cosa nostra e 'ndrangheta per evitare la batosta dello Stato 29/05/2019 

Si chiama "cosa cuova", la nuova struttura con al centro le due organizzazioni criminali cosa nostra e 'ndrangheta, creata per evitare di prendere una batosta dallo Stato dopo le stragi di Falcone e Borsellino.

Ne ha parlato il collaboratore di giustizia Gaetano Costa, ex ‘ndranghetista ma anche ex membro “riservato” di Cosa nostra, che ha raccontato la nascita della nuova struttura con al centro le due organizzazioni criminali, nella deposizione di ieri pomeriggio davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, in cui si celebra il processo ‘Ndrangheta stragista.

Al centro degli interessi di "cosa nuova" c'è sempre il carcere, il 41-bis e l'attenzione ad evitare le condizioni che agevolino nuove collaborazioni con la giustizia da parte dei mafiosi detenuti.

Sono gli ampi stralci riportati anche da Antimafiaduemila.com

"Ero nel carcere di Cuneo quando Momo Raso mi disse che si stava organizzando questa ‘Cosa nuova’ - ha aggiunto rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo - Dopo le stragi del 1992 il trattamento in carcere non era buono e noi cercavamo di ribelli. Lui (Raso, ndr) disse che dovevamo stare tranquilli in modo da far finire i nostro guai in carcere e che finisse il 41 bis ed evitare che ci fossero nuovi collaboratori”.

Tra gli obiettivi la “necessità di evitare tutto ciò che lo Stato stava attuando contro di noi. Evitare il 41 bis, evitare il sequestro dei beni, e sostenere le persone in galera, fargli arrivare lo stipendio e non indurli alla collaborazione con la giustizia per necessità, evitare nuovi arresti e blitz”.

Secondo Costa di questa “Cosa nuova” ne avrebbero fatto parte sia famiglie apicali della ‘Ndrangheta che quelle di Cosa nostra. “Quando chiesi a Raso 'chi siamo sempre i soliti? - ha ricordato il teste - Lui mi disse di sì e questo quindi non esclude che ci fossero i Mancuso, Franco Muto e naturalmente i Piromalli-De Stefano e altri”. Inoltre, ne avrebbero fatto parte anche “i Barbaro, i Mammoliti di San Luca, Gli Alvaro, i Papalia, Pesce, gli Ursino, i Muto di Cetraro e gli Arena dell’Isola di Caporizzuto”. Mentre per i siciliani c’erano “i Pullarà e tante altre famiglie di palermitani corleonesi”. Secondo quanto riferito dal collaboratore questa “nuova super-struttura serviva a inserire in modo più organico, nel tessuto del crimine siciliano e calabrese, persone insospettabili, collegamenti con entità politiche, istituzionali e massoniche”.

Costa ha anche parlato dei rapporti che intercorrevano tra calabresi e siciliani: “Fino a un certo periodo erano di tacito rispetto, ma poi si iniziarono a prendere in maggiore considerazione. Se si aveva bisogno, non c’era nessun problema nel chiedere. Anche perché i palermitani iniziarono a frequentare le carceri, mentre prima si incontravano solo nella zona di Palermo”.

Parlando del territorio di Messina, Costa ha riferito che lo stesso era una sorta di terra di mezzo, negli anni Settanta controllata dalla ‘Ndrangheta e che successivamente ha visto un ritorno di Cosa nostra. E così nacquero le relazioni tra le due consorterie criminali.
Nel rispondere alle domande del pm Giuseppe Lombardo, Costa ha parlato di come Nitto Santapaola sarebbe stato legato, prima ancora di Cosa nostra, alla ‘Ndrangheta. “Nitto Santapaola era ‘ndranghetista - ha detto - e poi dopo la morte di Calderone entrò in rapporti con i palermitani di Cosa nostra. Lui era il rappresentante e c’era il fratello quando si dovevano aprire i Casinò a Taormina”. Inoltre, il collaboratore ha raccontato che nel 1977, nel carcere di Reggio Calabria, “Franco Romeo era un fedelissimo di Santapaola da Catania ebbe lo sgarro da Natale Iamonte e da me insieme a Nitto Santapaola che aveva dato in carico a Iamonte”. Anche se con qualche difficoltà, Costa ha confermato che tra le figure di spicco del mondo criminale vi era la figura dell’avvocato Giorgio De Stefano, considerato la "mente" della famiglia. Un soggetto “in rapporti stretti con Giuseppe Piromalli, i Papalia e i Barbaro di Platì e con Mariano Agate di Mazara del Vallo e con Leoluca Bagarella”.

Addirittura, in un verbale dell’undici ottobre del 1994 gli attribuì un "ruolo determinante nelle trattative per la pace (c’era la guerra di ‘Ndrangheta, ndr) e tuttora è uno dei componenti della struttura di vertice della cosa nuova”. “Non lo escludo - ha detto ieri - Qualche mio ricordo, allora, mi ha portato a dire questo. Oggi non sono in grado di ricordare”.
L’udienza del processo è stata rinviata a lunedì 6 giugno.


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