Criminali in libertà le carceri sono piene
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STORIA Criminali in libertà le carceri sono piene 17/03/1973 

In Piemonte non si trova a volte posto per gli arrestati - Allora il magistrato è costretto a ripiegare sulla "denuncia a piede libero" - Così è a spasso chi starebbe benissimo in prigione Tra i tanti acciacchi di cui soffre la giustizia italiana, c'è il « male di libertà provvisoria ».

Ad un osservatore superficiale infatti potrebbe sembrare che la polizia e i carabinieri adoperino, nell'arrestare i delinquenti, lo stesso impegno che la magistratura usa nel metterli fuori della galera.

Ma le cose non stanno così. C'è, sì, una certa disinvoltura, in alcuni magistrati, nel concedere libertà provvisorie, ma esiste soprattutto una realtà che non si può nascondere né minimizzare; le carceri (parliamo di quelle di Torino, le ormai vecchie « Nuove») sono piene, non c'è più posto per altri detenuti. Le « Nuove » recano ancora oggi le ferite della rivolta di quattro anni fa.

I posti « agibili » sono circa 500, nel '69 erano mille. Il lavoro del riassetto è lento, gli intralci burocratici minacciano di arenarlo di giorno in giorno. Si è costretti a procedere come i gamberi: si apre un « braccio » rimodernato e ripulito (la prossima settimana, ad esempio, sarà agibile il quinto e con minor numero di celle dato che per far posto alle installazioni igieniche se ne sopprime una ogni tre) ma se ne chiude un altro, per dare inizio alle urgenti riparazioni. I detenuti traslocano, le celle si affollano. La camera per due ne ospita normalmente tre, qualche volta quattro.

Le presenze dei carcerati — dice un magistrato della Procura — superano sempre la disponibilità dei locali ». Una volta o due alla settimana, le « Nuove » registrano il « tutto esaurito ». Spiega il giudice: « Quando va bene ci sono cinque o sei posti liberi, raramente si arriva alla decina ». Ma, se le carceri sono gremite, i delinquenti non sospendono la loro attività né polizia e carabinieri — lo pubblichiamo ogni giorno - danno respiro alla malavita. E se i banditi più tracotanti e feroci riescono spesso a farla franca, non mancano di cadere nella rete tanti piccoli e grandi esponenti della delinquenza: ladri, rapinatori, truffatori, sfruttatori, ricettatori, falsari.

Dove metterli? Qui comincia il vero dramma della giustizia. L'arrestato per prima cosa viene trasferito nella camera di sicurezza della Questura o della caserma dei carabinieri. Dovrebbe rimanervi poche ore, il tempo necessario per informare il sostituto procuratore di turno e sbrigare le formalità. In realtà, quella che dovrebbe essere una breve tappa, diventa un soggiorno di 24 o 48 ore. Conseguenze: i detenuti in carcere, prima di essere sentiti dal magistrato non hanno la possibilità di parlare tra loro, soprattutto se complici di uno stesso reato. Ma nella camera di sicurezza sono in grado di dirsi tutto quello che vogliono, scambiare opinioni, mettersi d'accordo sugli alibi. Senza contare l'affollamento (spesso 30 persone in locali capaci tutt'al più di 10) e la possibilità non remota di fuga.

Dice il sostituto procuratore addetto alla sorveglianza delle Nuove: « Oltre al nostro lavoro, che diventa sempre più caotico, dobbiamo pensare anche allo smistamento dei detenuti, a trovargli l'alloggio. Quando le "Nuove" sono piene, dobbiamo elemosinare qualche posto nelle carceri di Susa, Moncalieri, Pinerolo. Certamente non ci mandiamo i rapinatori, o i delinquenti pericolosi, perché quelle sono prigioni poco sicure, hanno soltanto un guardiano o due ». Non è una soluzione comoda anche per un altro motivo. « Oltre tutto c'è il disagio — dice il magistrato — di andare a interrogare i trasferiti. Pensi soltanto alla perdita di tempo, sia per noi, sia per i difensori. Le giornate volano via, e il lavoro aumenta ».

« Ii male di libertà provvisoria » nasce da questa situazione assurda, incredibile in una città come Torino. Se firmare un ordine di cattura, se decidere di privare o no un individuo della libertà è sempre un compito difficile, che richiede riflessione, coscienza e preparazione giuridica, altrettanta riflessione, coscienza e preparazione sono indispensabili per firmare un provvedimento di scarcerazione. Ma quando le carceri sono sature, non c'è tempo per riflettere a lungo: bisogna al più presto metter fuori un detenuto per fare posto a un altro. Così, certe libertà provvisorie che in tempi normali non si concederebbero, adesso si firmano senza pensarci troppo su, perché c'è assolutamente bisogno di una cella per farvi entrare un delinquente pericoloso. Oppure l'arresto di un ladruncolo o di un piccolo truffatore si esaurisce in poche ore: appena il tempo necessario perché il pubblico ministero lo interroghi e lo rimetta subito in libertà. Domenica scorsa due gruppi familiari (in tutto 10 persone) sono stati arrestati per rissa. Ma dieci posti, in carcere, non si trovavano, neppure telefonando a tutte le prigioni della provincia. E le due famiglie se ne sono tornate a casa, senza aver avuto il tempo di sbollire la furia che le aveva spinte ad azzuffarsi.

Un altro caso tipico è quello dei contrabbandieri. Dovrebbero essere arrestati e giudicati per direttissima entro cinque giorni. Ma dove metterli? Così finiscono quasi sempre per essere denunciati a piede libero. Una macchina della giustizia che vada avanti in questo modo non ha bisogno di commenti. La polizia arresta, la magistratura mette in libertà perché in carcere non c'è posto. Naturalmente lo fa quando la legge glielo consente, quando l'ordine di cattura non è obbligatorio, quando si tratta di reati minori. Ma qui sta la contraddizione: perché vengono trattate con eccessiva clemenza proprio quelle persone per le quali una maggiore e tempestiva severità servirebbe forse da salutare ammonimento e talvolta a soffocare il germe di delinquenza che sta nascendo dentro di loro.

La Stampa 17 marzo 1973

 


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