Discorso del Ministro della Giustizia Andrea Orlando: annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria 2018
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SPECIALI Discorso del Ministro della Giustizia Andrea Orlando: annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria 2018 24/05/2018 

Signora Presidente del Senato, Signor Presidente della Corte Costituzionale, Signor Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Autorità tutte,

In questi anni ho sempre sentito il peso dell’importanza di questa giornata. Oggi lo sento ancor di più. Quelli alle nostre spalle non sono stati tempi facili.

Nell’ultimo decennio l’intero sistema penitenziario ha dovuto affrontare prima l’esplodere del fenomeno del sovraffollamento, frutto di una politica criminale e di un sistema dell’esecuzione penale inefficaci che oggi qualcuno ripropone, poi l’onta della condanna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che ha duramente colpito la reputazione del nostro paese.

Abbiamo attraversato insieme anni intensi. Anni di cambiamenti, dedicati ad un ripensamento complessivo e profondo del sistema. E come tutte le fasi di cambiamento sono stati anni in cui ognuno di noi ha dovuto mettersi in discussione e mettere in discussioni prassi, abitudini, modelli lavorativi e organizzativi.

In questo navigare difficile, in un mare all’inizio estremamente tempestoso, il Corpo di Polizia Penitenziaria ha saputo sempre tenere saldo il timone. Ci ha aiutati a governare la difficile situazione delle carceri italiane. Con profondo senso di abnegazione, con passione e dedizione.

Il peso di questa giornata, per me, sin dalla prima festa del Corpo, è derivato da un senso di gratitudine a cui non sempre negli anni si è accompagnato l’adeguato riconoscimento.

Nella giornata odierna, in quella che è certamente la mia ultima festa del corpo, voglio testimoniare ancora questa mia gratitudine, potendo dopo alcuni anni affermare che alcune delle istanze storiche poste dalla Polizia Penitenziaria hanno finalmente trovato risposta e attuazione. La giornata odierna è anche il momento per sottolineare l’attualità delle fondamentali funzioni del Corpo e per rivendicare con orgoglio la professionalità e la specializzazione di una Forza di polizia moderna e capace di coniugare le esigenze di controllo e di ordine negli Istituti penitenziari, con quelle di sostegno e recupero delle persone detenute.

Il percorso riformatore degli ultimi anni, che ha interessato l’intero sistema di esecuzione della pena, i cui principi ispiratori devono considerarsi ormai acquisiti, ha contribuito a definire un rinnovato ruolo del Corpo, che si è ancora una volta dimostrato pronto ad assecondare le istanze di innovazione.

L’auspicio in questo momento è che il carcere non torni ad essere un argomento di propaganda elettorale e di costruzione del consenso. Perché questo inficerebbe il percorso e i passi in avanti che abbiamo fatto compiuto.

La Polizia Penitenziaria sta accompagnando senza riserve e con sicura professionalità le nuove prospettive della pena, cogliendo, anche grazie all’impareggiabile esperienza e conoscenza diretta del mondo dell’esecuzione della pena che le sono proprie, l’esigenza della rieducazione e del reinserimento sociale delle persone detenute. E questa finalità, che spesso viene scambiata come un solo ossequio alle esigenze di umanità, in verità corrisponde all’esigenza di sicurezza della società nel suo insieme. Un carcere che rieduca è un carcere che realizza sicurezza. Un carcere che produce recidiva è un carcere che produce insicurezza per l’insieme della società.

Tengo a ricordare, in questo contesto, come il Corpo abbia accompagnato il lavoro del Ministero della Giustizia negli anni più recenti, in modo fondamentale. Anni in cui, a partire dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, abbiamo portato avanti un lavoro di confronto e di elaborazione su tutti gli ambiti dell’esecuzione penale.

Si è trattato di una precisa scelta politica, culturale e di metodo, per la definizione di una nuova cultura della pena trasfusa a livello normativo nella riforma dell’ordinamento penitenziario alla cui definizione abbiamo dedicato tutte le nostre energie. All’interno di questo percorso, volto a radicare nel Paese l’idea di un vero reinserimento sociale in una logica riparativa e rieducativa, il contributo della Polizia Penitenziaria è stato e continuerà ad essere prezioso.

Si tratta di una maturazione della coscienza collettiva del significato della pena che ha messo radici profonde destinate comunque a produrre il loro frutto. Il Corpo si è dimostrato aperto all’affermazione di un modello più dinamico per la realizzazione delle funzioni di controllo e di sicurezza che sono e saranno anche in futuro indispensabili all’interno del carcere, nella prospettiva del definitivo abbandono dell’idea, ormai anacronistica, di una custodia statica dei detenuti. Tale indicazione non deriva soltanto da scelte di politica nazionale, ma dalle prescrizioni che derivano dall’adesione del nostro Paese alla Carta europea dei diritti dell’uomo.

Mettere in discussione questo principio equivarrebbe a sottrarsi a quel sistema, con tutte le conseguenze che, credo, se ne dovrebbero trarre.

In questa nuova dimensione la Polizia Penitenziaria acquista sempre più il ruolo di osservatore di prossimità. Allo stesso tempo, il patrimonio di conoscenze e di competenze del Corpo sulle modalità delle relazioni del detenuto trova una rinnovata valorizzazione in ottica trattamentale, coniugando da un lato maggiore autonomia e dall’altro lato un più efficace monitoraggio delle situazioni problematiche. Una maggiore apertura del carcere non deve tradursi in una flessione degli strumenti di controllo ed in un aumento dei rischi di sopraffazione e di violenza.

Allo stesso modo è indispensabile governare con equilibrio i delicati passaggi connessi alla organizzazione amministrativa e tenere sotto costante controllo il concreto funzionamento dei modelli di vigilanza dinamica. Sotto questo profilo, il Ministero della giustizia è massimamente impegnato per assicurare le migliori condizioni di sicurezza ed operatività ai poliziotti penitenziari, contenendo il più possibile i rischi di violenze e di tensioni.

Parimenti, devono essere garantiti pienamente i diritti del personale e va messo in campo il massimo sforzo per ridurre lo stress che inevitabilmente deriva dal gravoso compito che sono chiamati a svolgere. Nella consapevolezza dei rischi che affronta il nostro Paese, in un delicato scenario geopolitico, caratterizzato da minacce ibride e spesso inedite, nonché da dinamiche di radicalizzazione che richiedono un attento monitoraggio e che grava inevitabilmente sul Corpo della Polizia Penitenziaria.

In questa prospettiva, la Polizia Penitenziaria entra a pieno titolo nel sistema della sicurezza nazionale, collaborando alle attività di reinserimento del condannato (con il contenimento del rischio di recidiva) e mettendo in campo una fondamentale azione di prevenzione che, soprattutto in materia di criminalità organizzata e terrorismo, assume rilevanza più generale anche all’esterno del carcere. Alla luce di queste nuove esigenze, risulta sempre più importante mettere le persone al centro. Penso all’impegno sulla formazione, attuato anche attraverso la fattiva partecipazione a progetti ed iniziative organizzate in sede sovranazionale.

La partecipazione dell’Italia al progetto “El Pacto” di collaborazione con i paesi del Sud America, che vede il DAP responsabile del pilastro penitenziario, è solo il più recente esempio di un impegno che è andato crescendo nel tempo e incontra il riconoscimento delle elevate professionalità del corpo da parte degli interlocutori internazionali.

Altrettanto essenziale deve ritenersi l’impegno nel reperimento di risorse umane e materiali adeguate ai delicati compiti affidati ai poliziotti penitenziari. La complessità dei compiti cui è chiamato ad adempiere il Corpo, nei nuovi scenari, interno ed internazionale, ha imposto una profonda innovazione amministrativa per la definizione di un assetto innovativo ed adeguato a fronteggiare le sfide attuali.

La mia priorità è sempre stata quella di dare al Corpo pari dignità rispetto alle altre Forze di polizia; il riallineamento ed il riordino, con la previsione dell’accesso alla dirigenza dei funzionari, credo siano stati passi importanti in questa direzione. La copertura delle vacanze negli organici della Polizia Penitenziaria è un elemento imprescindibile per assicurare la piena riuscita del processo innovativo. Abbiamo lavorato su questo con un impegno incessante, che ha portato, nel 2017, all’assunzione di 2.156 unità di personale, cui si affiancano le procedure concorsuali in fase di espletamento.

Per effetto del complessivo percorso riformatore, sono stati ottenuti risultati concreti di grande rilievo sul fronte del numero complessivo delle persone detenute: al 30 aprile 2018, la popolazione carceraria è composta da 58.285 unità, ancora superiore alla complessiva capacità regolamentare degli istituti penitenziari, che ha registrato tuttavia un aumento di capienza di circa 900 posti dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2017. Il confronto del dato con la media di presenze nel 2013 - anno in cui l’Italia vestiva la maglia nera europea - pari a 65.070 dà conferma della bontà della strategia messa in campo.

Al contempo, le misure alternative alla detenzione, sono passate da circa 30.000 nel 2013 a 51.000 al 30 aprile 2018. L’analisi dei flussi dimostra, da un lato, la necessità di proseguire nel processo di contenimento del ricorso alla detenzione nelle politiche criminali dello Stato e, dall’altro lato, la tendenza verso un nuovo e più maturo equilibrio del rapporto fra presenze carcerarie ed esecuzione penale esterna. È una strada feconda, che occorre percorrere con determinazione, al di là delle contingenze politiche.

Quest’azione deve essere rafforzata, ma già oggi l’Italia è indicata come un modello da seguire per i Paesi del Consiglio d’Europa che fronteggiano il sovraffollamento delle carceri. L’esperienza italiana in questi anni ci conferma che riconnettere il carcere alla società, attraverso le pene alternative, attraverso l’istruzione, attraverso il lavoro, è la chiave di volta per costruire sistemi detentivi più giusti e più efficienti, e per rafforzare la sicurezza di tutta la società.

Abbiamo perseguito questa strada anche attraverso un nuovo sistema di regole all’interno del carcere, che riconosca ai detenuti la pienezza dei diritti, ferme restando le esigenze di sicurezza legate a particolari condizioni soggettive. Il mio rammarico è che la mia azione di governo non si concluda con l’approvazione del nuovo Ordinamento Penitenziario.

Credo che sia stato un errore non portare a compimento questo percorso.

Da questo punto di vista auspico che le prossime settimane possano essere determinanti per dare una risposta, onde evitare la ripresa di una situazione di tensione all’interno delle carceri che a questo punto graverebbe su chi si assume la responsabilità di non dare una risposta compiuta su questo tema.

È proprio la riconnessione sociale a rendere possibile il contenimento della recidiva.

I detenuti che sono seguiti, lavorano in carcere o sono ammessi alle misure alternative e non sono un pericolo per la società. Proprio perché “sono” nella società, più difficilmente tornano a delinquere. E non sono un costo perché, persino in termini strettamente economici, è più oneroso sopportare le conseguenze dei nuovi reati, dei processi e delle detenzioni rispetto a quanto si spende per il loro reinserimento.

È questa la strada per portare maggiore sicurezza alla collettività.

E abbiamo potuto percorrerla grazie al fondamentale contributo fornito da tutto il personale della Polizia Penitenziaria, a cui va il mio sentito ringraziamento.

Viva l’Italia, viva la Polizia Penitenziaria.

Andrea Orlando
Ministro della Giustizia


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