Ergastolano uccide la guardia, fugge poi circondato muore in un conflitto
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STORIA Ergastolano uccide la guardia, fugge poi circondato muore in un conflitto 03/01/1974 

Il detenuto, 27 anni, ieri mattina ha freddato l'agente che cercava di chiudere la porta - Poi si è rifugiato in un casolare abitato da marito, moglie e due bimbi - Nello scontro a fuoco con le forze dell'ordine ha ferito un colonnello dei carabinieri, infine è stato ucciso.

Sono le 16 e dieci minuti: dopo sei ore si conclude la tragica evasione di Edoardo Mazza, 27 anni, condannato all'ergastolo per aver ucciso il 10 novembre del '68 a Roma un giovane a scopo di rapina. L'uomo dopo una fuga a piedi dal carcere di Civitavecchia viene scoperto in un casolare di campagna fuori dall'abitato di Santa Marinella a cinquanta metri dall'autostrada Roma-Civitavecchia. E' armato di una calibro 22 lunga. Circondato da carabinieri e polizia il Mazza continua a sparare; ferisce il colonnello dei carabinieri Angelo Nannavecchia, saltato a terra da un elicottero. Le forze di polizia cercano di snidarlo con i candelotti lacrimogeni. Poi non resta altro che sparare. L'ultimo rifugio del bandito è uno sgabuzzino di legno lungo due metri e largo uno con una finestra a vetri. Partono raffiche di mitra: Edoardo Mazza viene centrato alla testa e al corpo. Lo trovano cadavere, le gambe stese, la testa penzoloni, in mano la pistola. E' l'arma con cui, sei ore prima, aveva ucciso a bruciapelo, Giuseppe Passerini, 46 anni, la guardia carceraria che si era opposta alla sua evasione.

Sei ore di paura, di battute serrate, per un epilogo tragico. Due morti e un ferito grave per una pazzesca evasione condotta con ferocia lucida. Sulla scena cala il sipario. Il sostituto procuratore di Civitavecchia, Albano, ha concluso gli accertamenti di rito insieme con il medico legale. L'inchiesta però non è chiusa: si dovrà stabilire come Edoardo Mazza era riuscito ad avere la pistola; se aveva dei complici. Un'inchiesta interna al carcere, disposta dal ministro di Grazia e Giustizia, Zagari, dovrà dare una risposta agli stessi interrogativi. Le forze dell'ordine lasciano il casolare di campagna dove il dramma è compiuto. Il terrore rimane negli occhi della famiglia che vi abita: una giovane coppia con due bambini. La donna in attesa di un terzo figlio è in preda ad una grave crisi di nervi.

Sono le 10,50. Edoardo Mazza si trova nel settore delle carceri di Civitavecchia detto «istituto di trattamento per reclusi giovani»; è una sezione all'avanguardia nel sistema di rieducazione e vi sono ammessi detenuti che non abbiano più di trentacinque anni. Tutti hanno la possibilità di muoversi. Dormono in cella, ma per tutta la giornata possono andare e venire lungo i bracci del carcere: studiano, imparano mestieri, vengono seguiti da psicologi che impostano una terapia di gruppo. Mazza, ergastolano, era arrivato a Civitavecchia nell'aprile del '73 e finora quelli che si prendevano cura di lui lo ritenevano abbastanza integrato in questo tipo di vita, con una condotta soddisfacente.

Edoardo Mazza, romano, chiede a un agente di custodia di avere un colloquio con il maresciallo che comanda il nucleo del carcere. L'agente lo fa uscire dalla sezione e lo porta all'ufficio, diretto dal brigadiere, Guido Baccello, 45 anni. Il maresciallo è in ferie come pure il direttore del carcere, Guido Traversi. Rimasto solo, Mazza estrae la pistola: «Fammi uscire — dice con tono calmo — o ti ammazzo». Baccello non ha scelta e si avvia verso la porta carraia. Dall'alto la guardia armata che controlla il perimetro del carcere non si accorge di nulla. Mazza tiene il brigadiere sotto il tiro della rivoltella. Arrivano davanti all'ingresso. C'è una doppia porta, guardata da Giuseppe Passerini. L'agente si accorge solo all'ultimo momento che dietro al Baccello c'è un uomo armato. Cerca di chiudere la porta che aveva già aperto e di reagire. E' a questo punto che, a bruciapelo, Edoardo Mazza spara tre colpi. Passerini viene colpito due volte al collo e al torace. Morirà durante il trasporto all'ospedale.

Ore 11. Il Mazza è fuori. Spinge a terra Guido Baccello. Sull'episodio c'è la testimonianza di un impiegato della Sip, Angelo Capparella: «Ho visto la scena — dice — e l'agente cadere a terra. Poi ho visto bene l'evaso alzare la pistola e puntarla contro di lui. Forse non ha sparato o forse non è partito il colpo. Sta di fatto che il Mazza si è voltato verso di me, facendo il gesto dell'alt. Ho fatto finta di rallentare, mi sono avvicinato e quando lui si è accostato ho dato una gran sterzata e sono partito a scatto con la mia "Bianchina"». Capparella fa in tempo a vedere il bandito dirigersi di corsa lungo uno stradello che conduce al porto.

L'allarme è scattato e iniziano le ricerche: posti di blocco tutt'intorno alla città, squadre armate dislocate dovunque. Si alza in volo il primo elicottero. La caccia nel porto è difficile. Alle 14 arriva una pattuglia speciale con due cani lupo poliziotto, «Axel» e «Tasso». Ai cani vengono fatte annusare le ciabatte che il Mazza portava in cella. Partendo da due posti diversi i cani seguono la stessa pista che li conduce davanti all'imbarco dei traghetti per la Sardegna. Poi la pista sfuma. Su Civitavecchia imperversa ora un temporale e anche l'elicottero deve scendere. Ma la battuta non si arresta. Ore 15. La pioggia diminuisce. Da Pratica di Mare è giunto un secondo elicottero.

Dirige le operazioni il colonnello Mirenna del 2° Gruppo del comando generale dell'arma dei carabinieri. Si intensificano i pattugliamenti. Poi alle 15,20 la pista buona. Un uomo ferma una «volante» e riferisce di avere incontrato una persona simile a quella descritta per radio. «Mi ha chiesto — dice — la strada per raggiungere il cavalcavia dell'autostrada». Via radiotelefono si impartiscono gli ordini. I due elicotteri sorvolano il tratto di Santa Marinella All'altezza del cartello che segnala 50 chilometri di distanza dal raccordo anulare c'è un cavalcavia. Sotto la scarpata, a lato di un fosso, un casolare isolato a due piani. Uno degli elicotteri lo sorvola lentamente. Potrebbe essere il rifugio. Le auto dei carabinieri e della polizia si avvicinano lentamente. Ore 15,30. Due sottufficiali entrano nel casolare e chiedono notizie. A voce alta il capofamiglia risponde che non c'è nessuno, ma, con la mano, fa un gesto e indica la direzione. Gli uomini escono e fanno finta di allontanarsi. Il contatto con gli elicotteri è stabilito. Uno dei mezzi si avvicina alla casa e si ferma sfarfallante a mezz'aria. Un carabiniere si cala giù e si apposta sul tetto. L'altro elicottero atterra sul prato. Scende il col. Nannavecchia. Edoardo Mazza gli spara due colpi: uno lo ferisce al gomito, l'altro gli penetra in una coscia e si conficca all'altezza dell'inguine, spezzandogli l'osso del pube. Nannavecchia viene portato via con lo stesso elicottero. Al San Camillo di Roma viene sottoposto a due interventi chirurgici. E' grave ma i medici sperano di salvarlo.

Ore 16. Viene dato l'ordine di prendere il Mazza, ad ogni costo. Sparano candelotti lacrimogeni ma il bandito non si arrende e risponde colpo su colpo. Inizia lo scontro a fuoco. Le raffiche penetrano da ogni lato all'interno del magazzinetto di legno e lo uccidono. «E' finita. E' finita», grida un giovane appuntato scosso dall'emozione. Giuseppe Passerini, l'agente di custodia ucciso, abitava a Civitavecchia. Lascia due figli, Gianfranco di 16 anni e Fiorella di 13. La moglie. Teresa Toparini, saputo della tragedia, è crollata a terra piangendo. Edoardo Mazza abitava, prima di essere condannato, con la famiglia nella zona di Primavalle. Era un pittore dilettante ma viveva di piccoli furti specie derubando coppiette appartate in auto. Era stato anche responsabile di una rapina presso un ufficio postale. Il 10 novembre del '68 uccise a bruciapelo Romolo Montanari, un giovane che si trovava in macchina con la sua fidanzata. In tasca il Montanari aveva solo 400 lire. Fu arrestato dagli agenti della Squadra mobile, diretta allora da Nicola Scirè.

La Stampa, 3 gennaio 1974


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