I direttori delle carceri criticano il governo. Regolamenti troppo vecchi all'origine delle sommosse
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STORIA I direttori delle carceri criticano il governo. Regolamenti troppo vecchi all'origine delle sommosse 21/06/1973 

Fin dal '69, dicono, i disordini erano stati previsti, ma non s'è fatto nulla - Ora la situazione "ha superato i limiti di guardia" - Le riforme sono urgenti, ma per farle ci vuol tempo - Fra dieci giorni mancheranno anche i funzionari del ministero.

Gli incidenti e gli episodi di violenza che hanno sconvolto in questi giorni numerose carceri non hanno colto di sorpresa i funzionari direttivi della amministrazione penitenziaria. « Sin dal febbraio 1969 avevamo previsto tutto — dicono — ma inutilmente ». Quattro anni or sono, ufficialmente e pubblicamente, il ministro della Giustizia fu avvertito che « la situazione ha superato il limite di guardia » ed era diventata « seriamente allarmante sotto il profilo dell'ordine e della disciplina a causa della inammissibile arretratezza delle istituzioni ». In quella occasione i funzionari direttivi misero in rilievo che « le condizioni organizzative e funzionali degli stabilimenti penitenziari sono sostanzialmente identiche a quelle del 1923 per cui le condizioni di vita dei detenuti, salvo qualche eccezione, sono notevolmente arretrate rispetto al progresso segnato dai tempi e dalla Costituzione».

Venne denunciato che mancavano idee, mancavano programmi; che oltre il 50 per cento dei detenuti viveva nell'ozio più assoluto mentre quelli che lavoravano erano adibiti ad attività di « scarso valore tecnologico e sociale» (calzolaio, maglierista, calzettaio, artigiano di « gondole », « scialli », « centrini » ecc.) o di « semplice occupazione carceraria» (cuciniere, scopino, rattoppino, acquaiolo, casermiere, piantone, spesino ecc.). Fu sottolineato che il servizio sanitario era scarso e inefficiente. «Questo stato di cose - scrissero allora i funzionari direttivi — induce i detenuti a diventare sempre più insofferenti e li spinge a manifestare la sfiducia nelle continue promesse di riforme fatte ». «Da allora — commentano ora gli stessi dirigenti — non è stato fatto nulla o quasi nulla per modificare la situazione. Anzi, si dovrebbe dire che nel frattempo la situazione si è andata sempre più deteriorando per motivi contingenti talvolta a sfondo politico. Il potere politico allora non ritenne opportuno accogliere la richiesta di interventi urgenti e radicali mentre decise di prendere soltanto provvedimenti parziali che furono soltanto semplici palliativi. Venne migliorato il vitto: ma non era soltanto questo che bisognava modificare. I detenuti avevano bisogno, ed hanno bisogno di un regime nuovo all'interno del carcere: avevano bisogno di un clima nuovo che poteva essere ottenuto soltanto con riforme radicali.

Inoltre l'allarme riguardava anche e soprattutto il personale perché da noi ritenuto inadeguato quantitativamente e qualitativamente rispetto alle nuove esigenze negli istituti penitenziari. Invece anche in questo settore non è stato fatto nulla ». La situazione nelle prossime settimane, sotto il profilo organizzativo, è destinata a peggiorare in seguito alle recenti disposizioni; il vertice della amministrazione penitenziaria sarà costituita soltanto da quattro ispettori generali, da venti direttori capo e da un ispettore generale sanitario: entro il 30 giugno andranno in pensione 19 ispettori generali, trenta direttori capo e sei ispettori generali sanitari. « Il governo fu preavvisato per tempo che, in mancanza di interventi radicali — sottolineano ora i funzionari direttivi dell' amministrazione penitenziaria — i direttori avrebbero abbandonato in massa l'incarico.

Ma anche questo grido di allarme rimase inascoltato. Ora i dimissionari non potranno essere sostituiti se non fra alcuni mesi: infatti non è possibile procedere alle promozioni perché funzionari che potrebbero prendere il posto di chi va via non hanno l'anzianità prevista dalla legge». Le proteste dei detenuti possono in qualche modo avere una giustificazione? Non nei termini in cui sono state compiute, ma — è il commento dei penitenziaristi — « di fronte ad una disfunzione della giustizia e di fronte ad un sistema penintenziario che distrugge l'uomo specialmente nella fase della carcerazione preventiva, una protesta nei limiti della segnalazione di una urgente necessità di riforma delle leggi e delle istituzioni, appare inevitabile alla luce della forte presa di coscienza da parte dei detenuti, non tanto dei loro doveri quanto dei doveri dello Stato. L'amministrazione centrale penitenziaria — è la critica maggiore che i direttori delle carceri muovono ai dirigenti ministeriali — non si è resa conto che oggi il detenuto è lo stesso uomo che vive in una società progredita mentre le istituzioni sono rimaste ferme ad una concezione medioevale della pena, cioè afflittiva e distruttiva. Il detenuto oggi è portatore di tutte le esigenze che esprime la società mentre il carcere non è in grado di soddisfarle a cominciare da quella di giustizia ».

Che cosa si può fare, ora? Nessuno tra i tecnici è in grado di rispondere. Dicono tutti soltanto che « la situazione generale è difficilissima » anche perché le riforme non si attuano in pochi giorni: quella dei codici, ad esempio, in cantiere da anni, è ancora allo studio del Parlamento; senza tenere conto che quella del codice di procedura penale prevede una delega al governo da attuarsi attraverso una commissione di giuristi che avranno due anni di tempo per portarla a termine. Come dire, cioè, che nella migliore delle ipotesi il nuovo codice di procedura penale, destinato in teoria almeno a rendere più rapidi i tempi della giustizia, potrà essere pronto si e no nel 1976: ma nella migliore delle ipotesi. Escluso dagli esperti che i trasferimenti dei detenuti ribelli da un carcere all'altro risolvano il problema (« non è più tempo di utilizzare lo stesso strumento contemporaneamente per punire i colpevoli e per premiare chi vuole essere avvicinato alle famiglie e ai loro centri di residenza»), la situazione non dovrebbe neanche migliorare con la prossima riforma del diritto penitenziario. « Questa riforma — dicono i penitenziaristi, sempre più in polemica con il potere esecutivo — se non sarà ancora la riforma dei codici, sarà sempre una beffa per tutti; infatti, la nuova legge conferma lo spirito di regolamenti antichi di 40 anni: cioè non è diretta a risolvere il problema del lavoro nelle carceri, ne quello della risocializzazione del detenuto ».

La Stampa 21 giugno 1973


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