Inchiesta sul carcere di Napoli per l'accusa del capo-cappellano
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STORIA Inchiesta sul carcere di Napoli per l'accusa del capo-cappellano 11/03/1972 

Intervento del ministro a Poggioreale. Il religioso aveva denunciato in un dibattito pubblico la carenza del sistema carcerario - La direzione lo aveva allontanato - E' stato però reinserito nella sua missione su intervento della Curia.

Dopo la sospensione, nel carcere di Poggioreale, del superiore dei cappellani, padre Giuseppe Favarin. allontanato dalla direzione per avere denunciato in un pubblico dibattito le carenze del sistema carcerario e criticato la scarsa preparazione degli agenti di custodia, il ministro di Grazia e Giustizia, on. Gonella, è intervenuto nella vicenda. Ha disposto, infatti, un'inchiesta anche se il religioso, per l'intervento della Curia arcivescovile di Napoli, è stato reinserito nella missione pastorale ed ha, sia pure con qualche limitazione, ripreso il suo incarico nel carcere.

L'ispettore degli istituti di pena, professor Corrado D'Amelio, di 60 anni, è stato incaricato di svolgere un'indagine per accertare i motivi di fondo della polemica tra padre Favarin e il direttore del carcere, Osvaldo Passeretti, e culminata nel provvedimento e nel successivo ripensamento.

Il professor D'Amelio, giunto ieri sera a Napoli, si è messo subito al lavoro. Pratico dell'ambiente, nell'immediato dopoguerra resse per circa sei anni, tra enormi difficoltà, il carcere napoletano, si è già incontrato con il cappellano superiore Favarin, il quale gli ha illustrato la situazione.

Sul colloquio non sono trapelate indiscrezioni. Sulla vicenda circolano voci e illazioni, ma è difficile stabilirne la fondatezza. Si parla di irregolarità, di illeciti, di tensione tra i 1800 detenuti, di un diffuso malcontento che quattro anni fa sfociò in una sanguinosa rivolta. In quell'occasione, Poggioreale venne devastato. Il direttore fu tenuto per alcune ore in ostaggio dai reclusi e riuscì a stento a salvarsi.

Padre Giuseppe Favarin, un religioso veneto di 46 anni, è ritenuto un esperto di problemi carcerari. Segretario della commissione pastorale carceraria, un istituto che mira al «superamento dello stato di rancore tra detenuti e società», da molti anni si dedica al recupero sociale dei reclusi. Una settimana fa partecipò a una tavola rotonda presso la •Camera di commercio di Napoli e durante il dibattito, al quale erano intervenuti psichiatri di tutta l'Italia, esponenti politici e dirigenti di penitenziari, padre Favarin non esitò a denunciare la carente struttura del sistema, attribuendo ad essa una delle cause principali della mancata riabilitazione sociale dei detenuti. Nel suo discorso,'il religioso sottolineò la «sorprendente impreparazione degli agenti di custodia, privi dì requisiti di maturità necessari per comprendere la personalità del carcerato». Con l'attuale sistema, sostenne padre Favarin, i detenuti «non potranno mai essere recuperati alla società e quando riacquistano la libertà sono esacerbati e peggiori di prima».

All'indomani della «denuncia», la decisione del dottor Passeretti. Al religioso fu proibito di entrare nel suo alloggio, in un'ala del carcere, e gli fu comunicato che la sua presenza «era sgradita». Intervenne la Curia a difendere e tutelare l'operato del religioso e un deputato de presentò un'interrogazione in Parlamento. La direzione del carcere motivò il provvedimento adottato nei confronti del superiore dei cappellani con problemi cautelativi di disciplina interna. «Si tratta di una sistemazione temporanea — spiegò il dottor Passeretti —. Non ho licenziato nessuno, ho cercato soltanto di evitare che i trecento agenti di custodia potessero avere spiacevoli reazioni nei riguardi del religioso, che li ha pubblicamente messi sotto accusa».

La Stampa 11 marzo 1972


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