Ispettore di Polizia Penitenziaria assolta per non aver commesso il fatto: detenuta si suiciḍ a Civitavecchia con elastico degli slip
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SENTENZE E PROCESSI Ispettore di Polizia Penitenziaria assolta per non aver commesso il fatto: detenuta si suiciḍ a Civitavecchia con elastico degli slip 27/12/2018 

Prescrizione del reato per gli altri imputati. La Corte d'Appello di Roma, dopo quasi 10 anni dai fatti, ha ribaltato la sentenza di primo grado emessa nel 2015 dal tribunale di Civitavecchia che aveva condannato per omicidio colposo tre dei quattro imputati. Soddisfatti gli avvocati Francesca e Pier Salvatore Maruccio: "Abbiamo rinunciato alla prescrizione proprio perché convinti dell'assoluta innocenza della nostra assistita".

Assolta per non aver commesso il fatto. Dopo quasi dieci anni di clamore e di grande sofferenza, si chiude nel migliore dei modi la vicenda giudiziaria che ha visto coinvolta l'ispettrice Cecilia Ciocci, imputata (art. 533, 535, 538, 539 cpp) insieme ad altre tre persone (Patrizia Bravetti, Marco Celli e Paolo Badellino) di omicidio colposo per il suicidio di Anna Toracchi, una 35enne affetta da sindrome bipolare che si trovava reclusa presso il carcere di Civitavecchia.

Una vicenda sulla quale si concentrò una grande attenzione dei media. Il fatto suscitò infatti molto clamore sfociando in un processo, sviluppatosi a Civitavecchia, particolarmente importante e che oggi può ritenersi antesignano rispetto al ben noto "processo Cucchi", per una vicenda comunque diversa, nella quale il 20 giugno del 2009 la ragazza, che era internata presso il carcere della città portuale, si tolse la vita con l'ausilio degli slip, a distanza di pochi giorni da un precedente tentativo.

Venerdì sera c'è stata la sentenza della Corte d'Appello di Roma che, accogliendo il ricorso degli avvocati Francesca e Pier Salvatore Maruccio in rappresentanza dell'ispettrice Ciocci - coordinatrice della sezione femminile del carcere, vale a dire colei che aveva il diretto controllo della detenuta, ha di fatto stravolto la sentenza del tribunale di Civitavecchia che nel 2015 aveva condannato ad un anno di reclusione e al pagamento delle spese processuali tre dei quattro imputati (assolto lo psichiatra Paolo Badellino che aveva in cura la donna): oltre all'ispettrice Ciocci, il giudice monocratico Monica Ciancio aveva condannato per omicidio colposo in ragione delle loro funzioni, anche la direttrice del carcere Patrizia Bravetti, accusata di non aver disposto un regime di sorveglianza adeguato a scongiurare la tragedia, e il comandante delle guardie del penitenziario Marco Celli, comportando ai tre grandi problemi dal punto di vista amministrativo e della carriera.

La storia è nota: la donna, pur avendo una serie di problematiche di carattere psicologico, comportamentale e psichiatrico, venne trasferita dal carcere di Rebibbia (attrezzato per determinate patologie) a quello di Civitavecchia, del tutto privo di supporti di conforto per i disagi mentali.

La 35enne arrivò a Civitavecchia il 13 giugno del 2009 e il giorno stesso tentò il suicidio mentre veniva registrata presso il carcere: prese il cavo del televisore che si trovava lì e se lo avvolse intorno al collo, tentando di togliersi la vita. Intervenne lo psichiatra e lei fu messa in una cella senza suppellettili. Fu soprattutto ordinato, per evitare che ci fossero altri problemi analoghi, che si trattenesse in cella senza vestiti, cioè completamente nuda. Questa circostanza, che a primo impatto poteva sembrare inumana, era l'unica possibilità che aveva lo psichiatra, e quindi il carcere, di poter contenere la donna in ragione delle sue condizioni; di poter cioè evitare azioni autolesionistiche. Trascorsero altri quattro giorni, allorché la detenuta ripeté un gesto autolesionistico: venne cioè sorpresa a battere la testa contro il muro.

Venne così richiesto che la donna fosse sottoposta ad una "sorveglianza speciale", ma il carcere di Civitavecchia non era attrezzato, non avendo nemmeno il personale specializzato a casi di tale natura. La donna, quindi, non venne sottoposta ad una sorveglianza 24 ore su 24 come invece necessitava. Di fronte a questa situazione, dopo tre giorni la ragazza si suicidò, approfittando di un momento di disattenzione per togliersi la vita utilizzando, secondo l'accusa e secondo quanto emerso, i propri slip.

"Siamo andati in appello rinunciando alla prescrizione, - spiegano gli avvocati Francesca e Pier Salvatore Marucci, difensori dell'ispettrice Ciocci - Nonostante le vicende risalissero al 2009 e quindi si fossero ampiamente prescritte, abbiamo avuto il coraggio, la testardaggine e il merito di resistere. La nostra è stata una scelta mirata.

Da sempre siamo stati convinti dell'assoluta innocenza dell'ispettrice Ciocci. In questo momento di insistente giustizialismo, la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto restituisce un po' di sano equilibrio alla confusione che nella generalità delle persone si sta verificando. Siamo molto soddisfatti di aver contribuito a dare finalmente serenità alla signora Ciocci dopo dieci anni di grande sofferenza".

Gli altri due imputati, Bravetti e Celli, venerdì in Corte d'Appello sono andati in prescrizione. "Noi - aggiungono gli avvocati Francesca e Pier Salvatore Maruccio - abbiamo invece espressamente rinunciato alla prescrizione e sostenuto la discussione in maniera molto puntuale e la Corte d'Appello ha riconosciuto le nostre ragioni assolvendo la Ciocci per non aver commesso il fatto: con la formula, cioè, più ampia possibile, e rivoluzionando completamente la sentenza di primo grado".

civonline.it


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