La lettera aperta del boss della camorra: il messaggio mafioso nascosto durante la crisi del coronavirus nelle carceri
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MAFIA 41-BIS La lettera aperta del boss della camorra: il messaggio mafioso nascosto durante la crisi del coronavirus nelle carceri 18/03/2020 

Scusate se torno sulla questione carceraria. Ma mi sembra necessario. Ovviamente siamo tutti presi dall’andamento dei contagi quotidiani, trasmessi in mondovisione nell’ormai imperdibile collegamento serale dal Dipartimento della Protezione Civile.

Ma rischiamo, così, di far passare in secondo piano un’altra emergenza nazionale. Si sarebbe detto in altri tempi che le carceri in questo momento sono una polveriera, pronta ad esplodere, anzi a riesplodere, più forte di prima.

Dopo i tumulti del weekend del 7 marzo, segnalavo la necessità di un intervento forte, autorevole dello Stato. Di una presa di posizione anche rispetto a ventilate ipotesi di indulto generalizzato. La linea auspicabile e proposta era: niente sconti di pena, ma tutela per le situazioni di oggettiva difficoltà, dei detenuti, ma anche – se non prima di tutto – del personale della Polizia Penitenziaria.

Nel frattempo nei giorni scorsi è arrivato un altro segnale inquietante, sfuggito ai più, ma soprattutto agli esperti chiamati a fronteggiare questa situazione critica.

LA LETTERA APERTA DEL BOSS RECAPITATA DAL GARANTE DEI DETENUTI DI NAPOLI

Una “lettera aperta” è stata inviata al quotidiano napoletano Il Roma, dal boss degli Amato-Pagano, Antonio Bastone, attraverso il garante comunale dei detenuti, Pietro Ioia.

“Questo è il momento dell’altruismo e del buonsenso. Il Paese sta attraversando un momento di estrema difficoltà e per questo motivo le rivolte vanno messe da parte”, sono le parole con cui si apre la missiva del narcotrafficante.

Bastone, nome evocativo, una carriera di primo piano come narcotrafficante prima con i Licciardi, poi con gli Amato Pagano ed infine con gli Abbinante, ha dunque preso le distanze e si dissocia dalle proteste che si sono svolte all’interno del carcere di Poggioreale, lo scorso 8 marzo. “Il Padiglione Avellino, nel quale mi trovo detenuto, del resto si è subito dissociato da quella rivolta”, ha sottolineato il boss che ha espresso massima solidarietà al Corpo della Polizia Penitenziaria.

UN SEGNALE INEQUIVOCABILE PER CHI CONOSCE IL GERGO MAFIOSO

Tutto sommato niente di strano, direbbe uno sprovveduto. Un segnale inequivocabile, direbbe invece qualche dotto scrittore di cose mafiose. Un atto di forza della criminalità organizzata, proveniente da uno dei clan più potenti del Paese, dall’interno della criminalità di Secondigliano.

 

 

 

 

Il messaggio è chiaro per chi lettere e dinamiche del genere le conosce benissimo. Nel Padiglione Avellino, quello dedicato ai criminali più accaniti, comandiamo noi e siamo noi a gestire la situazione. Chi conosce gli equilibri sottili che si creano all’interno degli istituti carcerari, le alleanze criminali che si sedimentano ed i rapporti di forza sa bene cosa possa esserci dietro ad un comunicato del genere. Soprattutto in una realtà complicata e delicata come quella di Napoli.

Del resto, il paradosso è che messaggi tranquillizzanti e rassicuranti provengano da chi fino a ieri gestiva il più grande mercato di morte del meridione, quello legato alla droga. Ma questa è, se vogliamo, una parentesi, seppur emblematica, di ciò che sta accadendo all’interno delle carceri italiane.

CORONAVIRUS PER AGENTI PENITENZIARI E DETENUTI

Nel frattempo, infatti, arrivano notizie di un detenuto positivo al carcere di Milano, giustamente subito mandato agli arresti domiciliari. E delle auspicabili contromisure che si stanno adottando in quel singolo contesto.

 

Poi c’è il fronte caldissimo del personale. La Polizia Penitenziaria che con abnegazione e grande dignità lavora quotidianamente per garantire la sicurezza degli istituti di pena, a quanto sembra, è ancora con pochi presidi medici e con poche garanzie. E ci sarebbero già una cinquantina di contagiati. Sembra addirittura che una circolare del Dap imponga loro di andare a lavoro, nonostante abbiano avuto contatti con persone contagiate o che si sospetti siano state contagiate. Alla faccia della prevenzione, direbbe Totò!

Una situazione straordinaria che esigerebbe un intervento tecnico serio, deciso, forse anche coraggioso. Ed, invece, dopo giorni di attenzione, studio, approfondimento e poi ancora studio, i risultati non sembrano incoraggianti.

ARRESTI DOMICILIARI PER DETENUTI MENO PERICOLOSI

Il decreto legge Cura Italia, all’art. 123, ha emanato quello che in gergo tecnico viene definito come un indultino. Un copia e incolla, salvo qualche piccola modifica sui reati ostativi ed una accelerazione della procedura, della legge 199 del 2010, promossa dall’allora governo Berlusconi. Il tutto subordinato alla disponibilità dei braccialetti elettronici.

Circa tremila secondo le stime del Ministero, forse qualche migliaio in più nella realtà, i detenuti che andranno a scontare la pena, anche residua di diciotto mesi, nelle loro abitazioni. Esclusi ovviamente i delinquenti più pericolosi, gli incalliti e i rivoltosi degli ultimi tumulti. Una norma manifesto, come già l’hanno definita alcuni commentatori, che non risolve il problema del sovraffollamento e non propone nessuna soluzione innovativa.

Braccialetti elettronici insufficienti, come denuncia l’Unione delle Camere penali. Nulla di fatto sui colloqui, ancora sospesi.

E la polveriera ancora pronta ad esplodere.

 

di Catello Maresca - juorno.it

 

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