Le guardie verso lo sciopero? Cresce la tensione dopo il suicidio di due agenti in servizio sopraffatti dalla stanchezza
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STORIA Le guardie verso lo sciopero? Cresce la tensione dopo il suicidio di due agenti in servizio sopraffatti dalla stanchezza 23/05/1974 

Cresce la tensione fra le guardie carcerarie di Roma. Il 5 aprile scorso l'agente Salvatore Galati, di 22 anni, si uccide con un colpo di pistola mentre era di sentinella sul muro di cinta di Rebibbia. Domenica scorsa, l'appuntato Vittorio Pirotti, sposato, di 38 anni, si è sparato al cuore sul tetto di Regina Coeli, chiuso in una garitta. Tutti e due erano in servizio, alla fine del loro turno di lavoro. Sembra sia stata la stanchezza, un cedimento dei nervi a provocare il loro gesto disperato.

Adesso i loro colleglli denunciano le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Chiedono che s'apra una inchiesta sulla vita nelle carceri di Rebibbia e Regina Coeli. Si dichiarano vittime di violenze e soprusi che li umiliano. Vogliono che l'opinione pubblica e le competenti autorità riflettano sulle 70 ore settimanali di servizio cui sono sottoposti, sui turni massacranti, sui riposi settimanali o annuali cui a volte devono rinunciare.

«La rabbia può esplodere da un momento all'altro, con conseguenze difficilmente prevedibili», avvertono. Minacciano agitazioni, e ottengono che si sposti su di loro l'attenzione di quanti, preoccupati, seguono la situazione esplosiva. Non c'è nessun discorso sulla riforma dell'ordinamento penitenziario che possa farsi prescindendo dalle guardie carcerarie, dal loro numero, la loro qualificazione professionale, la retribuzione, la preparazione, le mansioni. «E' un corpo — dice il giudice torinese Neppi Modona — i cui componenti hanno in maggioranza la stessa provenienza sociale e topografica dei detenuti, e gli è riservato un trattamento che ne fa degli esclusi alla stregua dei carcerati. Il rapporto carcerario consta di due poli essenziali: custodi e custoditi. Pertanto, parlare di diritti, di libertà, di garanzie solo a favore dei detenuti, senza contemporaneamente assicurare analoghe garanzie agli agenti dì custodia, significa perpetuare l'attuale asprezza nelle relazioni fra le due categorie e misconoscere di fatto i diritti assicurati al detenuto, diritti che non si può pretendere siano applicati e rispettati da chi ne è privo».

L'attuale condizione degli agenti di custodia è funzionale al mantenimento di un sistema che ormai da tante parti viene giudicato insopportabile. Sono pochi: 12.887 in organico, ma circa un terzo presta servizio altrove (3 mila infatti sono utilizzati negli uffici degli istituti di pena, nei carceri minorili come «educatori», al ministero di Grazia e Giustizia, negli uffici giudiziari). E' sufficiente, per essere assunti, la licenza elementare. Gli stipendi sono così bassi da rappresentare un miraggio soltanto per i giovani provenienti dalle regioni più povere e prive di risorse dell'Italia. I turni di lavoro, le sedi degli istituti di pena, i regolamenti rigidi sono tali da contribuire a fare di loro tanti sradicati. Per questo alla loro formazione il disegno di legge sull'ordinamento penitenziario, già approvato dalla commissione Giustizia del Senato, dedicava non poca attenzione.

Ma tutta la riforme, adesso è stata bloccata e l'iter della legge si prospetta ben più lungo di quanto si attendeva. Ieri, missini e liberali hanno ottenuto che il provvedimento sia esaminato non più dalla commissione Giustizia della Camera, ma in aula, chiedendo sostanziali modifiche rispetto al testo approvato.

La Stampa 23 maggio 1974


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