Mafia a Enna: condanna definitiva per Assistente della Polizia Penitenziaria. Sette anni e due mesi di reclusione
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MAFIA 41-BIS Mafia a Enna: condanna definitiva per Assistente della Polizia Penitenziaria. Sette anni e due mesi di reclusione 30/01/2019 

Cosa Nostra ennese aveva un fedelissimo “insospettabile”. È passata in giudicato la condanna per associazione mafiosa a carico dell’assistente della Polizia Penitenziaria Salvatore Gesualdo, ennese di 37 anni, che prende in via definitiva 7 anni e 2 mesi di reclusione. Gesualdo è in carcere dal 28 ottobre 2014, da quando cioè fu arrestato dagli agenti della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile e dai carabinieri del comando provinciale.

Difeso dall’avvocato Michele Baldi, ha ottenuto dalla Corte d’appello di Caltanissetta le attenuanti generiche e una riduzione di pena, visto che in primo grado, dal Tribunale di Enna, gli erano stati inflitti 10 anni. Ora la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della difesa, per cui passa in giudicato la sentenza emessa dai giudici del Tribunale nisseno.

Secondo i giudici, in pratica, Gesualdo era molto vicino al boss Giancarlo Amaradio, il quale, nonostante la giovane età (ha quattro anni in più di Gesualdo), è già stato definitivamente condannato più volte perché elemento di spicco di Cosa Nostra. I due sono amici d’infanzia. Amaradio è però anche uno storico picciotto del capomafia Tano Leonardo, detto u’ liuni, e divenne boss nella metà degli anni Duemila. Gesualdo è stato visto assieme a lui nel giorno in cui si svolse un summit con “zio Turiddu” Seminara, l’anziano capo provinciale di Cosa Nostra (in un ristorante di Pergusa, nell’aprile 2009). L’assistente della Penitenziaria, dal canto suo, si è sempre difeso, proclamandosi innocente e negando ogni tipo di coinvolgimento con Cosa Nostra. Amaradio, ha sostenuto con i giudici, era suo amico e basta, nulla a che vedere con la mafia.

Quella di primo grado, emessa dal collegio penale di Enna, era stata una sentenza ricca di spunti interessanti, perché i giudici risposero a un’obiezione della difesa, circa l’appartenenza dell’imputato alle forze dell’ordine, che, per una presunta regola non scritta delle organizzazioni criminali, non avrebbe giammai potuto assumere ruoli e neppure essere affiliato, imparentato o anche commensale abituale di un mafioso. Ma per i giudici ormai questo è “un retaggio superato” e anzi, il “processo di continuo adattamento e trasformazione nel tempo di cosa nostra, vede la sempre più stretta contiguità tra la compagine criminale e soggetti appartenenti allo Stato, prima considerati ex se pericolosi e reietti in ragione del solo fatto di essere “sbirri”, i quali, come la storia giudiziaria insegna, non hanno talvolta disdegnato il pieno asservimento alla mafia”.

ennaora.it


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