Padova: domata la rivolta in carcere dopo una notte di tensione e scontri. Il penitenziario accerchiato da 400 agenti
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STORIA Padova: domata la rivolta in carcere dopo una notte di tensione e scontri. Il penitenziario accerchiato da 400 agenti 12/05/1974 

 

Cinquanta detenuti si erano asserragliati in un corridoio e avevano cominciato a devastare ogni cosa - Dopo una inutile trattativa, la polizia ha attaccato con lancio di candelotti lacrimogeni e i rivoltosi sono stati ricondotti nelle celle.

Una rivolta scoppiata nel carcere di Padova, dopo la tragedia di Alessandria, ha tenuto con il fiato sospeso centinaia di persone. Oltre cinquanta detenuti si sono asserragliati questa notte in un lungo corridoio della prigione di Strada Due Palazzi, scagliando bottiglie e una quantità di altri oggetti. Gli agenti di custodia hanno sparato qualche raffica di mitra in aria, vi sono stati lanci di candelotti lacrimogeni. Verso l'una, dopo un'irruzione di carabinieri e agenti di polizia, la sommossa è finita: i rivoltosi sono stati condotti nelle celle, in mezzo al fumo acre che aveva invaso il reclusorio. Si dice che da tempo fosse stato predisposto un piano di sommosse in alcuni penitenziari. Difficile stabilire se questa drammatica nottata nel carcere di Padova rientrasse nel programma. Comunque, l'inquietudine doveva serpeggiare in questi giorni tra i detenuti di Strada Due Palazzi. Nel pomeriggio di giovedì scorso, durante l'«ora d'aria», tre di loro sono riusciti ad arrampicarsi fin sul tetto dell'edificio e qui hanno cominciato una snervante manifestazione di protesta. Sono tutti e tre in attesa di giudizio, sospettati di rapine avvenute nel Veneto. Si dicono innocenti, chiedevano di parlare ai giudici che si stanno occupando dei loro casi.

 

Vani tentativi

Ogni tentativo di indurli a rientrare nelle loro celle è stato inutile. E' intervenuto il procuratore della Repubblica, dottor Aldo Fais. «Vogliamo dire qualcosa ai giudici — gridavano i tre uomini di lassù — altrimenti noi non ci muoviamo». «Non possiamo certo mandare i magistrati sopra il tetto — rispondeva il dottor Fais —. Intanto scendete, poi si vedrà di farvi avere questo colloquio». Ma loro sono stati irremovibili: «Prima vogliamo vederli, i giudici». E si sono disposti a passare la notte sdraiati sulle tegole. Ieri pomeriggio, sul carcere di Padova gravava la tensione: attraverso le radioline giungeva il drammatico susseguirsi dei fatti di Alessandria. In serata, .gli oltre cento detenuti vengono radunati nel salone, perché assistano alle trasmissioni televisive. Dovrebbe essere una parentesi distensiva, invece è qualcosa di sconvolgente. Durante il Telegiornale, sul video passano le immagini tragiche della rivolta nella prigione di Alessandria: lo scompiglio tra la folla, gente portata affannosamente sulle barelle verso le ambulanze. Poi, le altre trasmissioni, e nessuno si muove. Vengono le 22,30, l'ora di andare a dormire. E a questo punto scocca la scintilla della sommossa. Mentre i reclusi vengono avviati in fila verso le celle, qualcuno si mette a battere i piedi, in breve molti altri seguono l'esempio, con un ritmo crescente. In pochi minuti la situazione si fa critica. Gli agenti di custodia riescono a fare rientrare tutti i detenuti del primo braccio. Ma al piano sottostante, al secondo braccio, la rivolta è travolgente: i sorveglianti fanno appena in tempo a chiudere i cancelli, 54 detenuti s'ammassano nel corridoio tra le file di celle, cominciano a lanciare bottiglie vuote, pezzi di tavolini e di sgabelli attraverso le finestre che danno sul cortile. Scatta l'allarme in tutta la zona. Accorrono il comandante della legione carabinieri, colonnello Dodero, e il comandante del gruppo di Padova, tenente colonnello Del Gaudio, il questore Manganella. E squadre di carabinieri e agenti di polizia: giungono anche rinforzi da Mestre e da Vicenza. Nella notte, una barriera di circa quattrocento uomini fronteggia l'edificio di Strada Due Palazzi, mentre i riflettori rischiarano a .giorno i' cortile. La gente spalanca le finestre, passanti si radunano nella via, tenendosi a prudenziale distanza. Intanto, tra le grida, i rivoltosi continuano il lancio fitto di materiale: hanno scardinato l'impianto di riscaldamento, divelto infissi. Il procuratore della Repubblica si tiene continuamente in contatto con il ministero di Grazia e Giustizia per riferire sull'evolversi della situazione. Il magistrato tenta anche di andare a parlare con i reclusi asserragliati nel corridoio, ma il colloquio s'interrompe presto.

Raffiche di mitra

Dai camminamenti affollati da guardie di custodia partono raffiche di mitra verso l'alto. Dal secondo braccio qualcuno risponde con una risata e frasi rabbiose: «Sparate pure, tanto così non spaventate nessuno ». Poco dopo la mezzanotte, viene presa la decisione di muovere le forze di polizia: un reparto della Celere s'avvicina all'edificio e lancia bombe lacrimogene. Uno dei detenuti, Antonio Bambina, di sessantanni, è malato di cuore: al fragore dei candelotti sbianca in volto, s'accascia, e dovrà essere trasportato all'ospedale. Pochi minuti dopo, l'irruzione di polizia e carabinieri nel corridoio stipato di rivoltosi. C'è qualche scontro violento, alcuni dei reclusi cercano di sottrarsi alla stretta degli agenti. Poi il tumulto si placa: tutti i partecipanti alla sommossa vengono radunati e condotti in un altro settore del carcere. Restano, sopra il tetto, i tre che avevano cominciato la manifestazione di protesta nel pomeriggio di giovedì. Gli uomini della polizia s'arrampicano per andare a prenderli: «State fermi — grida uno dei detenuti sporgendosi dal cornicione —, non avvicinatevi altrimenti ci buttiamo di sotto». Un dialogo convulso, poi si lasciano convincere a scendere. La rivolta è finita.

La Stampa 12 maggio 1974

 

 

 


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