Ribelli e dimenticati: il governo deve evitare che a situazione peggiori ulteriormente
Home > STORIA

 

STORIA Ribelli e dimenticati: il governo deve evitare che a situazione peggiori ulteriormente 31/07/1973 

Le promesse non seguite da fatti concreti provocano, alla fin fine, più male che bene. Anche la visita del ministro Guardasigilli ai detenuti di «Regina Coelì», che dieci giorni orsono tante speranze aveva suscitato circa l'adozione di un nuovo atteggiamento governativo nei confronti dei problemi della giustizia, minaccia di non fare eccezione alla regola.

Le proteste esplose tra sabato e domenica in molte carceri italiane, prima fra tutte la stessa «Regina Coeli», nascono dal malcontento per una situazione stagnante. Si obietterà che in poco più di una settimana i miracoli non sono possibili. E' altrettanto vero, però, che a chiunque salta all'occhio la profonda differenza tra l'encomiabile prontezza posta dal governo nell'affrontare la situazione economica e il preoccupante ritardo che caratterizza la tematica giudiziaria.

La tesi secondo cui ci vuole tempo per individuare soluzioni e rimedi non può più valere come alibi dopo la dimostrazione di dinamismo e di impegno fornita in questi giorni per il settore finanziario dai ministri competenti. Una grossa verità, che stava per essere dimenticata, è ritornata prepotentemente in luce: quando esiste la volontà politica, cadono gli ostacoli sul cammino dell'attività concreta. Si potrà magari sbagliare, ma non certo per immobilismo. Del resto, le doglianze principali dei detenuti (riforma dei codici, accelerazione delle procedure) non sono soltanto doglianze loro.

Da anni, e nelle ultime settimane con particolare intensità, le medesime istanze vengono indicate come assolutamente necessarie dagli operatori giuridici di tutte le categorie: magistrati e coadiutori, avvocati e procuratori, dirigenti dell'amministrazione carceraria. Né vanno dimenticate le voci, autorevolissime, del Consiglio superiore della magistratura (se ne veda l'ordine del giorno approvato prima del periodo feriale) e, addirittura, del Presidente della Repubblica (si rammenti il messaggio formulato in giugno per le giornate giuridiche di Grottaferrata).

L'unica differenza sta nel fatto che, a causa dei modi violenti cui troppo spesso li spinge la disperazione, i reclusi pagano e fanno pagare a caro prezzo la loro critica al sistema vigente. Il bilancio delle agitazioni è sempre fortemente passivo: da un lato (quello degli effetti che ricadono sulla pelle dei detenuti) ci sono i trasferimenti in sedi lontanissime dai luoghi ove risiedono parenti e difensori, le sanzioni disciplinari, la possibilità di nuove incriminazioni penali e, talora, il prodursi di lesioni più o meno gravi alla persona; dall'altro lato (quello degli effetti che colpiscono la collettività), ci sono i danni arrecati ai locali, la distruzione di oggetti, le aggressioni agli agenti di custodia.

Se non si vuol dare ascolto a chi protesta con tanta violenza, si dia almeno ascolto a chi, operando all'interno dell'amministrazione della giustizia, fornisce continua e ragionata testimonianza della esigenza di riforme radicali, sia sul piano del diritto penale sostanziale, sia sul piano del diritto processuale, sia sul piano del diritto penitenziario. Non pretendiamo che vengano affrontati subito e tutti i problemi inerenti al settore penale. Ma per uno almeno corre il tassativo obbligo, morale prima ancora che politico, di darsi immediatamente carico. Ed è il problema della lentezza dei processi, reso ancora più grave dall'esodo che ha dissanguato i ruoli dei cancellieri e dei segretari. Se il governo non prenderà iniziative prima della pausa di agosto, la ripresa dell'attività giudiziaria dopo la parentesi estiva correrà il rischio di restare ben presto paralizzata. Già ora gli uffici di cancelleria e segreteria sono intasati di pratiche, l'accumulo delle carte crea confusioni a non finire. I pochi uomini rimasti, pur prodigandosi, non riescono a smaltire che una piccolissima, e sempre più ridotta, porzione di lavoro. E* facile prevedere che i processi diventeranno ancora più lunghi, soggetti a continue sospensioni e crescenti ritardi.

Le stesse pratiche concernenti la libertà personale, che pur dovrebbero fruire della precedenza assoluta, rimarranno inevase per lungo tempo. I magistrati, e soprattutto i dirigenti degli uffici giudiziari, sono allarmatissimi di tutto ciò. Gli avvocati e i procuratori pure: un ordine del giorno del Consiglio nazionale forense ha puntualizzato preoccupazioni e pericoli in maniera estremamente evidente. A farne le spese saranno, per un verso, la collettività che, nella lotta contro la delinquenza, avrebbe bisogno di veder condannare i colpevoli a breve scadenza dalla commissione del reato e, per l'altro verso, gli stessi detenuti in attesa di giudizio. Non di rado costoro sono innocenti; e quando non lo sono, accade spesso che vengano trattenuti in carcere per un periodo superiore a quello della pena poi inflitta al termine del processo.

E' significativo che nelle recenti agitazioni siano stati specialmente questi detenuti in attesa di giudizio a far sentire la voce della protesta. Chiedendo un giudizio celere, essi chiedono la stessa cosa che più sta a cuore all'opinione pubblica e agli operatori giuridici. Come dar loro torto? Oltretutto, il diritto ad essere giudicati in un termine « ragionevole» costituisce uno dei principali diritti riconosciuti agli imputati detenuti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani.

Questa convenzione è legge dello Stato dal 1955. Non assicurando un giudizio a tempi brevi, le nostre strutture giudiziarie violano, al tempo stesso, leggi interne e convenzioni internazionali. Il governo deve evitare che a situazione già precaria peggiori ulteriormente. A tal fine, la primissima cosa da fare consiste nell'assicurare ai magistrati un adeguato numero di coadiutori. Altrimenti, si troveranno nell'impossibilità di procedere. E le agitazioni nelle carceri non avranno tregua.

Giovanni Conso - La Stampa 31 luglio 1973


Google News Penitenziaria.it SEGUICI ANCHE SU GOOGLE NEWS