San Vittore, il direttore: Quel che era in mia facoltà l'ho compiuto, ma non posso cambiare la legge
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STORIA San Vittore, il direttore: Quel che era in mia facoltà l'ho compiuto, ma non posso cambiare la legge 08/07/1973 

Le norme del codice fascista risalgono al 1931, i 1500 reclusi vivono come media in tre per cella - "La scuola di delinquenza", le mafie interne - Come funziona l'insegnamento - Il duro mestiere dell'agente di custodia. Il difensore di alcuni detenuti che involontariamente sarebbero stati causa della recente protesta sui tetti del carcere di San Vittore ha fornito una nuova spiegazione sull'origine della manifestazione. Essa sarebbe stata provocata dal fatto che cinque reclusi convinti di essere stati ingiustamente condannati per una tentata rapina, dopo avere ripetutamente chiesto di conferire con il presidente della quinta sezione penale e con i difensori, domenica sera sarebbero stati percossi e affrontati con idranti da alcuni agenti di custodia. In quell'occasione i cinque avrebbero riportato ecchimosi, sulla cui esistenza Io stesso legale si è dichiarato pronto a testimoniare.

Venuti a conoscenza del fatto, un gruppo di reclusi avrebbe deciso la protesta, salendo sui tetti del carcere. Il sanitario incaricato dal direttore del carcere non avrebbe rilevato segni di percosse. Il sostituto procuratore della Repubblica Gino Alma, che conduce l'inchiesta sulla protesta, ha confermato l'episodio; alla luce però dell'esito di quella visita medica, ha escluso che i cinque siano stati picchiati. Siamo andati a visitare San Vittore per vedere qual è la realtà, come vivono i reclusi. «Noi non abbiamo nulla da nascondere — afferma il dottor Carlo Santamaria, direttore del carcere —; mi piacerebbe ami che venissero autorizzate visite di gruppi "tecnici", quali medici, avvocati, architetti, eccetera». In questo come negli altri istituti di pena, il problema di fondo è la rigidissima separazione con la realtà esterna, sancita dal regolamento Rocco del 1931: rigorosa esclusione di qualsiasi persona estranea (cioè non inserita nella gerarchia e non sottoposta alla disciplina penitenziaria), pesanti limitazioni di canali di comunicazione con la società libera (corrispondenza, colloqui, lettura). «Per guanto riguarda me, quel ch'era in mia facoltà, l'ho compiuto — prosegue Santamaria —, ma certo non posso cambiare la legge. Per esempio, ho permesso ai reclusi di scrivere ogni volta che lo desiderano: mentre, per regolamento, agli ergastolani sarebbe consentita una lettera al mese, ai "definitivi" due. La durata dei colloqui, in genere, l'ho portata da 30 a 40 minuti. I giornali entrano tutti; radio e televisione si ascoltano e si guardano in pratica senza limitazione di orario».

Dal 18 maggio, è ammesso l'acquisto di una radiolina transistor (seimila lire); nel settembre "72, sono stati installati 500 televisori. Per quanto concerne i servizi igienici, in quattro raggi ogni cella è fornita di water e lavandino; nei due rimanenti, i lavori stanno per essere compiuti; successivamente, si passerà alla sezione femminile.

San Vittore ospita 1500 reclusi; dai 18 ai 25 anni al III raggio, i drogati al II (presenza media giornaliera: una sessantina), al IV e V i «normali», al I quelli «in transito», i «nuovi giunti» e la «sezione speciale» (soggetti «di difficile governo»). In ogni cella, una media di tre persone. Messe insieme con quale criterio? Santamaria spiega che «per ragioni pratiche» non è possibile una distinzione secondo la situazione processuale o il tipo di reato: si decide di volta in volta. Dunque succede che un ladruncolo di biciclette conviva per mesi e mesi, magari in attesa di giudizio, con un omicida: è una delle cause di quella «scuola di delinquenza», come tanti definiscono le prigioni.

Le mafie interne, i ricatti della paura, le vessazioni dei detenuti più forti ai deboli, fanno il resto. «Non nego nulla — ammette il direttore —, ma non esageriamo. Così pure per la questione dell'omosessualità: problemi legati all'esistenza di una qualsiasi comunità, esasperati dalla natura di quel particolare ambiente che è il carcere». Secondo il regolamento Rocco, il detenuto, oltre che ad un'educazione religiosa cattolica, ha altri due diritti fondamentali: all'istruzione e al lavoro. A San Vittore insegnano ventidue maestri; tengono lezioni per il conseguimento della licenza elementare. «Non sono assolutamente sufficienti — dice Santamaria — e non suscitano alcun interesse: occorrerebbe istituire quanto meno dei corsi di scuola media. Negli ultimi tempi, il livello intellettuale si è rialzato: la percentuale dei detenuti analfabeti e semianalfabeti, oggi, si aggira sul 15 per cento. Non molti anni or sono, raggiungeva tranquillamente il doppio». Quattrocento detenuti lavorano: 250 alle dipendenze dell'amministrazione carceraria (scopini, porta-vitto, portapacchi, piantoni interni, scrivani, «spesini»); gli altri, per conto di quattro ditte. Fanno tappi di bottiglia, conduttori elettrici, penne a biro, fibbie e lacci per scarpe. Guadagno medio di ognuno, ventimila lire al mese. Secondo gli schemi fissati dal regolamento Rocco, l'appalto dei lavoratori carcerati frutta allo Stato il 110 per cento minimo sulla paga corrisposta dalla ditta. In pratica: se l'azienda versa seicento lire quotidiane al recluso, ne deve dare 660 allo Stato. Il che significa che lo Stato, dal solo San Vittore, prende circa cinque milioni al mese. Su scala nazionale annua, il lavoro dei carcerati frutta al Fisco circa un miliardo.

Il 22 giugno, una delegazione dei reclusi di San Vittore conferiva con il redattore di un'agenzia giornalistica, al quale faceva presente la solidarietà nei confronti dei compagni in lotta per la riforma del codice penale, l'abolizione della carcerazione preventiva, della recidiva, delle misure di sicurezza e dei reati di opinione, la soppressione della censura e dei trasferimenti punitivi, il diritto di assemblea e di voto, il controllo sui prezzi per i generi in vendita negli spacci, l'abrogazione delle misure punitive (cella di isolamento e letto di contenzione). «Per quanto riguarda quest'ultimo — aggiunge il direttore — esso non è una misura punitiva: la decisione in merito è presa esclusivamente dal medico e, poi, dal neurologo».

Questa degli agenti di custodia è un'altra tristissima realtà, a San Vittore come altrove. Sono 190, in media sorvegliano ciascuno 80 carcerati: dovrebbero essere quasi il doppio. Stipendio medio: 150 mila lire, un giorno di riposo ogni due mesi; in caso di tensioni, proteste, rivolte, tale diritto è sospeso, tutti devono dormire nell'istituto e rimanere consegnati fino a nuovo ordine. Essendo considerati militari di carriera, non hanno diritto ad organizzarsi in sindacato. Titolo di studio richiesto, la quinta elementare: solo il 5 per cento di quelli in servizio a San Vittore è di origine lombarda, gli altri vengono dalle regioni più povere del Sud. Reclusi ed agenti di custodia presentano impressionanti analogie di provenienza sociale, culturale, geografica. I rapporti fra le due categorie sono il più delle volte innegabilmente improntati a tensione ed asprezza.

La Stampa 8 luglio 1973


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