Suicidio della guardia a Rebibbia. Timori d'evasione dopo la sparatoria
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STORIA Suicidio della guardia a Rebibbia. Timori d'evasione dopo la sparatoria 05/04/1974 

Agenti avevano aperto il fuoco su tre ladri d'auto Uno riusciva a fuggire gli altri erano catturati. Il suicidio di un agente di custodia del carcere di Rebibbia ha scatenato stanotte a Roma una drammatica caccia all'uomo: per alcune ore si è ritenuto che l'agente, di guardia sul muro di cinta, fosse stato ucciso da un evaso e l'inseguimento tra una volante della polizia e una «125» rubata con a bordo tre giovani si è concluso a colpi di mitra. Gli agenti, convinti di essere faccia a faccia con gli «assassini» non hanno esitato a sparare alcuni colpi andati, fortunatamente, a vuoto.

Tutto s'è chiarito all'alba quando l'appello ai detenuti non ha registrato assenze e si è capito che Salvatore Galati, 24 anni, agente di custodia, s'era sparato al petto con la pistola d'ordinanza. A trovarlo è stato un altro agente di sorveglianza in una garitta del muro di cinta. Udito il colpo l'agente è accorso. Quando si è trovato dinanzi al corpo ormai senza vita di Salvatore Galati ha dato l'allarme.

Le cellule fotoelettriche hanno illuminato a giorno il cortile e l'esterno del penitenziario mentre agenti di polizia e carabinieri convergevano in forze in via Tiburtina. Tutte le auto erano in allarme quando una volante della Squadra mobile ha intercettato sulla via Nomentana una «125» che marciava a velocità sostenuta. Il cadavere di Salvatore Galati era stato scoperto da appena mezz'ora e gli agenti hanno intimato l'alt. La vettura, invece di arrestarsi ha accelerato l'andatura, inseguita dalla volante. Sei, sette chilometri a velocità folle per le vie della città poi, sulla via Tiburtina, a cinquecento metri da Rebibbia la «125» è stata posta fuori uso da una sventagliata di mitra. Dei tre occupanti uno è riuscito a fuggire, gli altri due che si erano rifugiati nel retro di un ristorante sono stati catturati subito dopo. Sono due ladri d'auto, ancora minorenni: il più grande ha 18 anni e si chiama Stefano Moroni; l'altro ne ha appena diciassette: è Claudio Colavecchi, figlio di un impiegato delle Poste.

La Stampa 5 aprile 1974


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