Undici sommosse, centinaia di reclusi trasferiti. Ancora tensione nelle carceri
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STORIA Undici sommosse, centinaia di reclusi trasferiti. Ancora tensione nelle carceri 31/07/1973 

La vampata di contestazione s'è estesa in molte prigioni, con punte di vandalismo a Roma e Milano - Il ministro della Giustizia, Zagari (in foto ndr), annuncia una serie di misure urgenti e di provvedimenti straordinari per far fronte alle carenze di personale e ridurre l'affollamento - Prevista "un'intensificazione dei provvedimenti di clemenza alla luce di elementi obiettivi".

Da «Regina Coeli» la rabbia dei reclusi si è estesa a tutto il Paese. E' una nuova vampata di contestazione, questa volta violenta e con punte di vandalismo, che da Roma ha toccato Milano; da Velletri ha coinvolto Viterbo; da Avezzano ha incendiato L'Aquila. A porre sotto accusa il sistema penitenziario italiano, sclerotico e indegno di una società civile, si aggiungono ancora Trieste, Bergamo, Civitavecchia, Varese e Firenze. La situazione preoccupa a Napoli, a Palermo, a Bologna, e i funzionari del ministero della Giustizia, che collaborano con il ministro Zagari, si sono trattenuti oggi in ufficio sino a notte, con un breve intervallo per il pasto di mezzogiorno, consumato alle sei della sera.

Il ministro segue l'evolversi della rivolta nel suo studio di Via Arenula, e stamane è andato a Palazzo Chigi per riferire a Rumor. Ha dato quindi disposizioni affinché non si ripeta quanto è accaduto a Velletri, dove una sventagliata di mitra esplosa da un agente ha colpito due detenuti che, insieme con altri 30 reclusi, protestavano sui tetti della prigione. Antonio Latin, 20 anni, è il ferito più grave, mentre un altro manifestante, preso dal panico e dalla paura, ha perso l'equilibrio ed è precipitato a terra, per fortuna senza gravi danni. Un terzo detenuto ha tentato d'avvelenarsi con alcune pillole medicinali, candeggina e soda per pavimenti. E' stato salvato con una lavanda gastrica.

Mentre si annuncia per tutti i penitenziari una «normalità carica d'incognite» dal ministero della Giustizia si ha un lungo comunicato che interpreta l'analisi tracciata da Zagari e annunzia una serie di misure urgenti e di provvedimenti straordinari per far fronte alle carenze di personale e ridurre l'affollamento carcerario. Le nuove misure, che saranno rese note al più presto, prevedono la riduzione dei tempi di attesa del processo e «una intensificazione dei provvedimenti di clemenza alla luce di elementi obiettivi».

Per Zagari le rivolte di questi tre giorni sono il risultato di quanto non è stato fatto in passato quando all'evoluzione della società civile non ha risposto una volontà riformatrice. Il problema, per le dimensioni e la gravità alle quali è giunto, richiede a questo punto soluzioni urgenti tali, però, da non creare squilibri nella difesa della società contro il crimine. La riforma carceraria deve quindi inquadrarsi in modo organico in un sistema che riveda l'ordinamento penale nel suo complesso. A parere del ministro, la difesa contro la criminalità « deve meritare pari preoccupazione del miglioramento e dell'umanizzazione delle pene », anche se va decisamente respinta e demistificata l'impressione di un crescendo numerico del crimine nel nostro Paese. « Fatto smentito da tutte le statistiche ». Per Zagari il fenomeno è diminuito nel suo complesso, mentre il suo modo di manifestarsi ha raggiunto invece forme « più parossistiche e pericolose », tali da farlo sembrare dilagante. Se le prigioni esplodono, continua il ministro, ciò accade non a caso e proprio « nel momento in cui si avverte l'indicazione di un chiaro impegno riformatore, da parte di un governo che considera il problema della giustizia come problema urgente che va affrontato con sollecitudine in tutti i suoi aspetti ». Egli riconferma tutti gli impegni assunti dinanzi ai reclusi di Regina Coeli « nel dialogo iniziato come primo atto di governo con la comunità dei detenuti romani ».

Tra i mali della giustizia, Zagari isola quello della libertà condizionale che nel nostro Paese, dove mancano istituti generalmente diffusi all'estero, rimane un fatto « caritativo » invece di essere « «ti fatto di giustizia reso con la stessa partecipazione dei reclusi ». Il sistema italiano usa invece la reclusione indiscriminata « per grandi come per piccoli violatori della legge », con la unica conseguenza di avere oggi una popolazione carceraria enormemente superiore a quella che si potrebbe avere attuando una riforma organica (attualmente i detenuti sono 35 mila). Accanto alle esigenze d'una concreta politica di edilizia carceraria, che consenta un trattamento « umanizzante e rieducativo del detenuto », l'obiettivo da raggiungere è quello di una politica della giustizia in grado di distinguere « tra fasce realmente pericolose del crimine e fasce che hanno invece bisogno di reinserimento nella vita sociale ». Vanno quindi eliminati i fenomeni di « sottocultura nella somministrazione e nella amministrazione delle pene ». Il nuovo ordinamento penitenziario deve basarsi sulla certezza del diritto ma, essenzialmente, deve mirare a riconoscere esplicitamente, accanto agli interessi della società, i diritti e gli interessi dei detenuti.

La Stampa 31 luglio 1973


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