Ecco come entravano i telefoni e la droga per il clan Lo Russo nel carcere di Terni
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MAFIA 41-BIS Ecco come entravano i telefoni e la droga per il clan Lo Russo nel carcere di Terni 17/02/2020 

Una certezza e un sospetto. L’inchiesta sui ‘nuovi’ Lo Russo, che il 7 febbraio è sfociata in oltre 30 arresti, ha svelato anche la disponibilità di telefonini da parte di esponenti della camorra detenuti in carcere ha rivelato non solo il ‘sistema’ utilizzato per introdurre in carcere i cellulari ma ha anche acceso i sospetti che a consentire il ‘superamento’ dei controlli sia stato qualche agente della Polizia Penitenziaria.

Un’ipotesi, quest’ultima, sulla quale sono ancora in corso indagini e che non è peregrina dal momento che un’altra attività investigativo, proprio poche settimane fa, ha portato ai domiciliari un agente della Penitenziaria accusato dal boss oggi pentito Antonio Lo Russo di avergli consegnato, in cambio di denaro, uno smartphone benché all’epoca dei fatti Lo Russo si trovasse detenuto a Terni in regime di carcere duro.

Il ‘sistema’ escogitato per fare arrivare ai detenuti cellulari e droga è stato ricostruito ascoltando le parole delle persone direttamente coinvolte, persone ignare di essere finite sotto intercettazione. E’ così che nel 2018 gli investigatori scoprono che nel penitenziario napoletano di Secondigliano due uomini del clan Lo Russo, Luciano Pompeo e Antonio Peluso, dispongono di cellulari per parlare con le rispettive compagne ma anche con il ras in libertà Matteo Balzano. Sono le donne, in particolare, a rivelare – loro malgrado – come hanno fatto ad aggirare i controlli. Droga e telefonini cellulari entravano in prigione non nascosti nei tradizionali ‘pacchi’ destinati ai detenuti: quelli vengono sottoposti a controlli e il rischio di essere scoperto è praticamente certo. E, allora, le donne che andavano a colloquio nascondevano su se stesse i ‘doni’. Più precisamente, droga e cellulari venivano infilati nelle scarpe che le donne indossavano ai piedi. Ma non è tutto: perché il clan avevano ‘imbastito’ una vera e propria rete di ‘corrieri’. Sempre donne, che in cambio di 200 euro, si prestavano alla consegna. Funzionava così: il ‘corriere’, scelta sempre tra persone del clan e sempre con un parente detenuto, consegnava al parente detenuto cellulare destinato a Peluso o a Pompeo, e questi poi provvedeva a farglielo recapitare. Emblematica in tal senso una conversazione che intercorre tra il detenuto Peluso e il ras Balzano: il primo spiega di avere lo schermo del cellulare rotto e informa il ras di essere in attesa di ben due cellulari: «Ora me ne devono arrivare due, a me, giovedì… Me ne sono fatto comprare uno da.. da mia moglie ed un altro dalla moglie di Luciano… Giovedì devono entrare a noi qua… con un’altra persona.. di Frattamaggiore..».

Un’altra telefonata, invece, consente di capire anche il trucco usato dal ‘corriere’ per non danneggiare i telefonini cellulari durante il ‘trasporto’. Peluso chiama la moglie Martina Torre e le dà le seguenti raccomandazioni da girare ovviamente al ‘corriere’: «Devi dire alla chiattona.. quando lei sale le scale.. con quelle scarpe al piede.. non piegare… le deve tenere piatte, le deve tenere piatte, per terra.. Se no li schiatta, come schiattò quegli altri là. Diglielo». A sgomberare il campo da dubbi, se mai ve ne fossero, è un’altra conversazione che intercorre tra Peluso e Balzano sempre sul sistema escogitato per introdurre droga e cellulari nelle scarpe. Peluso dà istruzioni a Balzano affinché si occupi di supervisionare il ‘corriere’ e soprattutto di pagargli i 200 euro per l’incombenza: «Ora ti spiego una cosa: la cioccolata (hashish secondo gli inquirenti, ndr) a metà… metti la spina, la cioccolata e l’erba.. Prendi una scarpa, prendi una scarpa.. Poi metto il caricatore, la maria.. la spina.. e metti… la maria, poi in quell’altra scarpa metti il telefono ed il filo.. Però tutta questa roba deve essere nel nastro isolante…».

Se queste conversazioni consentono di potere affermare con assoluta certezza che Peluso e Pompeo utilizzassero telefonini che mai avrebbero potuto avere essendo detenuti, resta invece poco chiaro se vi sia stato o meno un coinvolgimento da parte di qualche agente della Polizia Penitenziaria. Nel corso delle conversazione vi è un solo accenno, peraltro neanche chiaro, a una persona che avrebbe fornito aiuto. Un’allusione che tuttavia spinge il gip – che ha firmato gli arresti – a paventare la possibilità della presenza di esponenti dell’ordine infedeli: «Lascia, altresì, sconcertati la possibilità, che si paventa in virtù di un’attenta lettura delle conversazioni, che vi sia un diretto o indiretto coinvolgimento di personale della Polizia Penitenziaria».

giustizianews24.it

 

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